Totò Rizzo: il boss che voleva ricostituire la Scu
Il boss Totò Rizzo è in carcere dal 1992, condannato all’ergastolo. Il suo nome spicca nella storia della Scu insieme a quelli di Giuseppe Rogoli, Antonio Dodaro, Giovanni De Tommasi, i fratelli Mario e Angelo Tornese, Salvatore Padovano, Giuseppe Scardino e Luigi Giannelli. Tutti boss storici della Sacra Corona Unita. Con i fratelli Bruno e Pantaleo De Matteis, Totò Rizzo, aveva fondato la Famiglia Salentina Libera, iniziativa conclusasi con il ritorno nell’unica grande organizzazione criminale che è la Scu.
Con gli arresti dei nuovi boss succedutisi negli anni, all’interno del sodalizio criminale salentino, si sono riaperte le porte al ritorno di Rizzo, di cui non si parlava da molto tempo. A leggere quel che scrivono i carabinieri del Ros, diretti dal colonnello Paolo Vincenzoni e dal capitano Marco Ancora, un ritorno in grande stile, con l’ambizione di rimettere le mani sulla città, di controllare il racket delle estorsioni e il mercato della droga. Un potere assoluto, quello di Totò Rizzo, ma esercitato tramite le sfoglie e i messaggi che la moglie Maria Assunta Stella (che è indagata a piede libero) e il nipote Cristian Rizzo avrebbero portato fuori dal carcere.
Proficuo il lavoro svolto dai carabinieri che hanno spiato i colloqui avvenuti all’interno della casa circondariale di Napoli, hanno trascritto e verbalizzato quel che moglie e nipote riferivano al parente, e quel che Rizzo ordinava loro. Il boss veniva informato su tutto e quindi impartiva le sue direttive, o anche semplici consigli, che giungevano ai referenti esterni del clan, Ivan Firenze prima e Nicolino Maci poi.
Le dichiarazioni del collaboratore Giuseppe Manna hanno consentito agli investigatori di squarciare il velo anche sui più recenti progetti di Totò Rizzo per il dominio degli affari illegali. Il Manna ha spiegato quello che successe durante la detenzione nel carcere di Taranto del Rizzo, istituto dove era stato spostato per una visita alla madre malata. E proprio qui sarebbe maturata la decisione di riorganizzare il gruppo e di dar vita a un nuovo “locale”.
«Rizzo era detenuto nella cella numero 1 del reparto alta sicurezza. Sia io che Verardi eravamo nello stesso reparto, ma nella cella 16 e 18. Abbiamo avuto modo di parlare con lui quando ci recavamo a fare la doccia. In tale occasione passavamo dalla cella di Rizzo e ci fermavamo a salutarlo attraverso lo spioncino. Fu così che è sorto l’accordo fra Verardi e Totò Rizzo di creare un nuovo “locale” che comprendesse Castromediano, Cavallino, Lizzanello, Merine, Vernole, Melendugno, Caprarica, Calimera, Martano e tutti quei paesi fino a Melendugno. Lecce sarebbe rimasta fuori. Interessarsi di Lecce avrebbe significato scontrarsi con Maurizio Briganti e Roberto Nisi, che avevano preso nel frattempo gli affari criminali della città. Acquisito il benestare di Totò Rizzo e di Bruno De Matteis, usciti dal carcere in permesso, io e Verardi ci siamo resi irreperibili». Questo è quanto si legge nel verbale di Manna.
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