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Lecce: le mani sulla città

Di Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

Dopo il vuoto seguito allo smembramento dei gruppi di Filippo Cerfeda e di Fabio Franco, la Sacra Corona tentava di compattarsi intorno al presunto capo, Salvatore Rizzo, 50 anni, che sta scontando l’ergastolo. Intorno alla sua figura che incute timore è nato un nuovo clan che stava allungando i suoi tentacoli su Lecce e nei paesi dell’hinterland: Cavallino, Vernole, San Cesario, San Donato, Lizzanello, Merine, Vernole, Melendugno, Caprarica, Calimera e Martano. Un gruppo criminale costituito da un paio di articolazioni interne: una facente capo a Ivan Firenze (leccese, già fedelissimo del defunto boss Giuseppe Lezzi) e a Nicolino Maci, che avrebbe preso il comando dei traffici illeciti dopo l’arresto di Firenze, fermato al valico del Brennero con due chili di cocaina; l’altra riconducibile ad Andrea Leo, detto Vernel.

Questo è il quadro delineato dai carabinieri del Ros di Lecce grazie a un’indagine condotta dal luglio 2007 al marzo 2009, integrata da nuovi elementi raccolti anche dalle Compagnie di Lecce e di Maglie. Novità delle ultime settimane che si sono incrociate con la latitanza di Alessandro Verardi. Insieme a lui e ad Andrea Leo, il boss ergastolano ha fondato un nuovo clan (un nuovo “locale” o una nuova “squadra”) molto attivo, nato grazie a un accordo con Bruno De Matteis, il cui figlio deteneva il dominio sul territorio di Merine.

L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal gip Alcide Maritati su richiesta dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia (il procuratore Cataldo Motta, l’aggiunto Antonio De Donno e il sostituto Francesca Miglietta). L’indagine è stata denominata “Augusta”, dal modello di moto utilizzata dai carabinieri per pedinare gli indagati. Mafia, associazione finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, questi i reati ipotizzati nei confronti dei 49 destinatari della misura cautelare. Altri venti soggetti sono indagati a piede libero.

Per quanto concerne il capitolo estorsioni, le indagini hanno smascherato il tentativo del clan di accaparrarsi l’attività di vigilanza privata nei locali pubblici tramite la Iron Service. La società riconducibile a Totò Rizzo aveva escogitato una tecnica particolare per ottenere nuovi clienti. Ai commercianti leccesi venivano inviate tre lettere contenenti un’escalation di minacce: nella prima c’era un invito ad accettare la protezione perché “sarà meglio per tutti”; nella seconda si faceva riferimento ad un “ultimo avvertimento”; nella terza si tiravano le conclusioni, “faremo del male ai vostri figli”, così c’era scritto.

A dare un forte impulso alle indagini degli investigatori sono state le dichiarazioni di Giuseppe Manna che adesso collabora con l’Antimafia. Manna, proprio alla vigilia di Natale, era evaso con Verardi dal carcere di Taranto. E’ stato lui a raccontare particolari importanti sulla nuova “squadra” voluta da Salvatore Rizzo. Durante un periodo di detenzione nel carcere di Taranto, Rizzo, tramite una sfoglia, aveva confermato la sua vicinanza a Manna, ed aveva dato una forte spinta alla nascita del nuovo gruppo insieme con Verardi per il controllo delle attività criminali nella zona di Merine.

Gli investigatori, grazie alle intercettazioni ambientali (importanti i dialoghi intercettati in carcere e dalla microspia nascosta nell’auto di Nicolino Maci) e telefoniche sono riusciti a fare luce sulle attività del gruppo ricostituitosi intorno a Salvatore Rizzo. Le intercettazioni hanno consentito anche di scoprire un’altra organizzazione, non mafiosa, ma specializzata nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti, soprattutto cocaina. A capo di questo sodalizio gli inquirenti indicano Roberto Solito e, dopo il suo arresto, la convivente Rossana Elia che si sarebbe occupata dello spaccio sfruttando i rifornimenti garantiti da Raffaele Martena di Tuturano, personaggio legato al clan Buccarella.

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