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L’ analisi del procuratore Motta: occorre un cambio culturale

Di Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

«C’è un evidente ritorno sulla scena di personaggi che, in passato, hanno occupato posti di rilievo in ambito criminale. E’ un aspetto preoccupante, sul quale ci si deve soffermare. Ambienti criminali collaudati stanno cercando di riprendere in mano il territorio in maniera veramente diffusa». Così il procuratore Motta risponde a chi gli chiede quali segnali scaturiscono da questa operazione. Il procuratore si sofferma poi sul nuovo modo di agire della Scu: «La Scu agisce in maniera intelligente e per questo ha scelto il metodo della sommersione. Oltre alle attività tradizionali, di traffico di sostanze stupefacenti, oggi punta molto sull’usura e sulle estorsioni, che si svolgono sotto traccia. Non è un caso che abbiamo pochissime denunce, che nessuno riferisce nulla, perché le vittime hanno interesse a preservare i loro carnefici. L’impressione è che tutto vada avanti tranquillamente, mentre sotto le ceneri, e neanche troppo sotto, cova quello che è venuto fuori in questa occasione».

«I protagonisti di questa indagine – afferma il procuratore – sono alcuni personaggi che hanno fondato la Scu, quel Totò Rizzo che voleva creare la Famiglia Salentina Libera. Non sono cambiati i nomi e anche le condotte criminali vanno avanti da tempo. L’ indagine, infatti, è nata nel 2007 ed è stata continuamente aggiornata fino al luglio scorso e poi, dopo l’arresto di Verardi, addirittura fino a settembre. Nonostante si trovasse in carcere Rizzo ha continuato ad impartire ordini e a controllare il territorio di riferimento, rigenerando la vecchia associazione e creando poi un nuovo “locale” capeggiato da Andrea Leo la cui scarcerazione è stata salutata da fuochi d’artificio». «L’aspetto importante di questa operazione – continua Motta – non è legato all’eventuale presenza di vip tra coloro che acquistavano droga ma al fatto che la criminalità organizzata aveva riacquistato il controllo di grosse fette di territorio. Per fortuna siamo riusciti a bloccarla, ma la repressione non basta». In chiusura l’affondo finale: «Occorre anche un cambio culturale, affinchè il consenso dell’opinione pubblica sia rivolto a chi reprime e non a chi delinque».

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