Non solo “Legge bavaglio”
Il disegno di legge sulle nuove “norme in materia di intercettazioni telefoniche” che in questi giorni il Governo spinge perchè sia approvato con urgenza, è universalmente conosciuto come “legge bavaglio”. Quest’appellativo mette in evidenza l’insostenibilità democratica di una legge che pregiudica gravemente la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto dei cittadini di essere informati sulle vicende di pubblico interesse. Tuttavia c’è un altro aspetto, altrettanto grave, che qualifica questa nuova disciplina: lo smantellamento della capacità di indagine della polizia giudiziaria, attraverso una drastica riduzione della possibilità di utilizzare gli strumenti di indagine che la tecnologia ha messo a disposizione degli inquirenti.
Normalmente le leggi penali hanno per fine il contrasto alla criminalità, questa peculiare normativa, invece, ha per fine il contrasto all’azione di contrasto alla criminalità realizzata dagli organi inquirenti. Infatti la nuova normativa penalizza fortemente l’attività investigativa sottoponendola ad una serie di trappole, limitazioni, divieti ed aggravamenti procedurali che non possono avere null’altro effetto se non quello di bloccare o impedire la ricerca della verità per tutti quei reati di cui siano rimasti sconosciuti gli autori. Si è cominciato a frapporre ostacoli procedurali, sottraendo al giudice delle indagini preliminari il potere di disporre l’autorizzazione per le operazioni di intercettazione e costringendo il Pubblico Ministero ad inviare tutti gli atti di indagine compiuti al tribunale distrettuale (che normalmente coincide col capoluogo di Regione).
Poi si è assoggettato al regime proibizionistico delle intercettazioni anche uno strumento di indagine, di enorme utilità investigativa, quale l’acquisizione dei tabulati telefonici che finora la polizia poteva acquisire, senza particolari limitazioni, con un semplice decreto di autorizzazione del P.M. Successivamente sono state praticamente abolite le intercettazioni ambientali (che, in pratica, possono essere disposte soltanto per tre giorni). Quindi si è introdotto il limite di massimo 75 giorni per la durata delle intercettazioni con una coda ridicola di possibili proroghe di 3 giorni. Dopo si è stabilito che le intercettazioni disposte per una certa ipotesi di reato non possono essere utilizzate se da esse si ricava la prova della responsabilità dell’imputato per un altro tipo di reato per le quali l’intercettazione non è ammissibile. Infine, per chiudere il cerchio, è stato introdotto un limite di bilancio, che stabilisce a sua discrezionalità il Ministro della Giustizia.
Per cui quando saranno finiti i fondi che l’autorità politica metterà a disposizione degli inquirenti, non si farà neanche un’intercettazione e la criminalità potrà tirare un sospiro di sollievo. Non v’è dubbio che le intercettazioni telefoniche sono uno strumento di indagine estremamente invasivo e questo giustifica che la legge le sottoponga ad una serie di restrizioni, vincoli e garanzie, come già accade nella disciplina vigente. Nel disegno di legge governativo le intercettazioni telefoniche vengono fortemente ristrette ma non sono del tutto abolite. Viene, invece, completamente abolita un’altra forma di indagine che si effettua attraverso la acquisizione della documentazione del traffico telefonico. Infatti, sottoponendo i tabulati telefonici alle stesse restrizioni delle intercettazioni telefoniche, si vietano del tutto (anche nei confronti della criminalità terroristica e mafiosa) le indagini a vasto raggio che, in molte occasion,i si sono rivelate uno strumento decisivo per scoprire gli autori di reati gravissimi. Con questa nuova disciplina, per esempio, non sarebbe mai stati possibile scoprire gli autori del delitto del prof. Massimo D’Antona, avvenuto a Roma il 20 maggio 1999, che furono individuati attraverso l’analisi del traffico telefonico in partenza dalle cabine pubbliche, incrociati con i dati delle tessere telefoniche utilizzate.
L’analisi della documentazione del traffico telefonico è stata l’arma che ha consentito alla polizia giudiziaria di Milano di individuare gli agenti di un servizio segreto straniero autori del sequestro di Abu Omar, avvenuto a Milano il 17 febbraio del 2003. In quel caso la polizia acquisì la documentazione di tutto il traffico telefonico transitato per la cella che agganciava il luogo dove era avvenuto il sequestro. Si trattava di ben 10.718 utenze telefoniche. Attraverso un meticoloso lavoro di scrematura, gli inquirenti riuscirono ad identificare i telefoni di 17 persone certamente coinvolte nel sequestro. Questo tipo di indagini non sarà più consentito, come non sarà consentito alla polizia effettuare riprese visive in luoghi pubblici o aperti al pubblico per individuare coloro che spacciano stupefacenti dinanzi alle scuole o per ricercare i latitanti, come non sarà più consentito mettere delle “cimici” nelle auto o negli uffici di mafiosi e camorristi per scoprirne i traffici illeciti. Hanno ragione, pertanto, coloro che sostengono che, attraverso questa legge si verifica un mutamento di regime, perchè il contrasto alla criminalità (come la libertà di informare e di essere informati) non è un bene disponibile da parte delle maggioranze parlamentari. Per quanto l’esercizio della giurisdizione penale abbia un carattere odioso per la sua natura coercitiva, essa è posta a presidio di beni pubblici: la vita, la salute, la libertà, l’erario, che non possono essere dismessi. Non si può lasciare impunito l’omicidio per non violare la privacy dell’assassino e del suo entourage. La legge dovrebbe agevolare la ricerca della verità dei fatti criminosi a tutela della legalità. Invece la riforma delle intercettazioni, vietando o ostacolando gravemente l’attività investigativa, persegue tenacemente lo scopo opposto.
Non solo di legge “bavaglio” si tratta ma, anche e soprattutto, di una legge “disarmo”, una legge che disarma la capacità di indagine della polizia e consegna il nostro paese nella mani delle vecchie e nuove mafie.
* magistrato, consigliere di Cassazione
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