Mauro Rostagno, 23 anni dopo
Mauro Rostagno non l’ ho conosciuto, non ho mai lavorato con lui, non ho condiviso con lui esperienze politiche, di lotta sociale e nient’altro di tutto quello che lui ha saputo fare. Non sono destinatario o possessore di qualsivoglia eredità, non faccio dunque parte di quella “fiera delle vanità” che ogni tanto si allestisce attorno al suo ricordo. Una cosa che mi piace dire con assoluta fermezza – perché di questo sento di avere precisa certezza al di là della conoscenza e della frequentazione personale che non c’è stata – è quella che il 26 settembre del 1988 Mauro Rostagno è stato ucciso dalla mafia trapanese. Così sgombriamo subito il campo dalle miserabili storie di corna, di spacci di droga, di tradimenti politici all’ombra del delitto Calabresi, affermando a chiare lettere che la mafia esiste e non da ora, e questo tanto per ricordare che qualcuno andava sostenendo, anche nelle alte sfere della magistratura, che il delitto Rostagno non poteva essere di mafia perché a Trapani la mafia non c’era, e invece c’era nel 1988 e anche prima, e che oggi non si vede perché si è trasformata e si è infiltrata dentro le nostre quotidiane vite. Lo ha fatto eliminando personaggi scomodi come Rostagno e chi oggi dice che “la mafia non esiste perché è stata battuta”, spesso si comporta da “cicero pro domo sua”. Cosa nostra trapanese, quella che oggi sopravvive grazie al latitante forse mezzo cieco ma sempre super protetto Matteo Messina Denaro (e non solo grazie a lui) ha ucciso Mauro Rostagno, 23 anni fa, la sera del 26 settembre 1988 mentre il giornalista rientrava a Saman, la comunità di recupero per tossicodipendenti da lui fondata, dopo una giornata di lavoro a Rtc, la tv dalla quale irrideva mafiosi e politici e informava i cittadini.
Dico subito un’altra cosa. Non sono tra quelli che vedono trame oscure, intrighi, gialli internazionali, spie, traffici di armi e droga, speculazioni internazionali, dietro il delitto. Non li vedo dietro l’omicidio Rostagno ma non dico che questi traffici e queste commistioni nel trapanese non sono esistite. Anzi probabilmente esistono ancora. Sostengo che Rostagno e’ stato ucciso perché non era a 100 passi dalla mafia, come Impastato a Cinisi, ma era a cinque passi dalla mafia. Il suo editore, Puccio Bulgarella, ad esempio, è stato dimostrato, aveva in quegli anni contatti con Angelo Siino il “ministro dei lavori pubblici” di Toto’ Riina. E Puccio Bulgarella, deceduto di recente, indagato anche lui nel delitto per false dichiarazioni al pm (procedimento poi archiviato) sarebbe stato uno di quelli che aveva consigliato prudenza alla redazione guidata da Rostagno. Questi fatti sono emersi troppo tardi, oggi che l’editore non c’è più, escludendo ogni possibilità di verifica giudiziaria più accurata. A Trapani in quegli anni ’80, Rostagno, realizzava editoriali per Rtc ma anche molto altro: mandava i suoi giovani giornalisti in giro con telecamera e microfono tra la gente, intervistava personaggi come Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia ma anche le madri che avevano visto i loro figli morire per droga o perché colpiti dalla criminalità mafiosa. Non solo: andava in Tribunale a fare le pulci al processo contro l’apparentemente quieto capo mafia di Mazara, Mariano Agate, che all’epoca aveva dato ordine ai suoi scagnozzi liberi di dare completa ospitalità al super latitante Totò Riina. Mentre Rostagno faceva tutto questo, la mafia trapanese era ben salda ai posti di comanndo: c’erano liberi ipiù pericolosi killer che costituivano i gruppi di fuoco di Cosa nostra, i mafiosi entravano nei salotti, frequentavano le segreterie politiche, prendevano la quota associativa a Cosa nostra riscossa dagli imprenditori senza bisogno di tante intimidazioni. Come ha spiegato l’ex dirigente della mobile di Trapani,Giuseppe Linares,”Rostagno era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato”. E dunque già questo scenario basterebbe a spiegare perché Rostagno fu ucciso.
Anni dopo, successive indagini, hanno appurato che quel 1988 era l’anno in cui a Trapani la mafia si trasformava, i mafiosi diventavano loro stessi imprenditori, mafiosi riservati erano eletti nei consigli comunali, entravano nei consigli d’amministrazione di societa’, riuscivano e riescono ancora oggi a garantire per le proprie imprese canali di pubblico finanziamento. La presenza di Rostagno a Trapani, il suo lavoro di giornalista, ovviamente, suscitava preoccupazioni. Provate come ho fatto io a leggere le cronache dei giornali di quel tempo, nelle cronache provinciali seguiva il filone che reggeva l’atmosfera del tempo e che cioe’ che la mafia non esisteva – come disse nel 1985 il sindaco di Trapani Erasmo Garuccio davanti alle vittime dell’autobomba di Pizzolungo. Rostagno non lanciava lo scoop ma semplicemente diceva cose che gli atri giornalisti non dicevano: parlava dei traffici della mafia, dei politici traffichini, di una città apposta lasciata sporca e senza futuro. Alcune intercettazioni telefoniche ci consegnano oggi anche la storia di imprenditori che avevano proprio in quegli anni “le mani in pasta”: i due convenivano di tenere un comportamento del “un fari e un fare fari”, tradotto significa, “non fare e non far fare”, in attesa di vedere l’evolversi della situazione. Era questa la mafia trapanese che cominciava a fare politica, gestire imprese, che dava accoglienza ai super latitanti del momento, e non poteva tollerare che un giornalista della tv locale, destinata a entrare nel bacino di trasmissione del palermitano, facesse il giornalista in maniera così accesa, raccontando quello che accadeva ogni giorno sotto gli occhi di tutti. Sentenze definitive emesse dalle Corti di Assisi di Trapani ci raccontano che omicidi sono stati decisi da Cosa nostra trapanese anche per molto meno.
C’e’ poi un approfondimento che Rostagno stava facendo, riguardava la presenza della loggia massonica coperta Iside 2 a Trapani, lui li’ era entrato, per capire, aveva parlato con i capi di quella loggia e poi aveva lanciato pubblicamente in un suo editoriale in tv. Quella loggia, si scoprirà, non era sol luogo di incontro di mafiosi, politici, colletti bianchi, ma era qualcosa di più, da li era passato Licio Gelli, forse era servita da copertura al turco Ali Agca nel suo viaggio verso Roma per tentare di uccidere il Papa, c’erano frequentazioni con agenti libici e di altri servizi segreti.
Una camera di compensazione da non violare. Forse non e’ un caso che il poliziotto che la ando’ a scoprire, l’allora capo della Mobile, Saverio Montalbano, finì presto trasferito a Palermo, mentre gli iscritti a quelle logge sono rimasti tutti ai loro posti e hanno fatto anche carriera ancora oggi e comandano settori vitali della città. Come altri procedimenti giudiziari su altre logge massoniche: che fra archiviazioni e prescrizioni sono sfumate nel nulla: i capi hanno fatto pochi giorni di galera, il gran maestro Gianni Grimaudo, professore di filosofia, ha finito di scontare la lieve condanna con un affidamento ai servizi sociali.
Mi fermo qui, aggiungo solo a proposito del processo in corso e che riprenderà il 28 settembre con la testimonianza di Carla Rostagno, sorella di Mauro, che non può essere ignorato da chi oggi, anche nel mondo dell’informazione, si occupa della mafia sommersa, della cosiddetta trattativa tra stato e mafia, perché in questo processo – nel processo per il delitto di Mauro Rostagno – e’ emerso chiaramente come in
quel 1988 i “cani” cioe’ gli investigatori erano attaccati come ha raccontato in questi anni il pentito Giuffre’. Trapani, provincia zoccolo duro della mafia, era in quegli anni inattaccabile: pochi gli investigatori e chi voleva indagare veniva messo da parte; mancavano mezzi e uomini, ma c’erano anche investigatori come alcuni dei carabinieri sentiti già nel corso del processo, che hanno portato le indagini sul d
elitto Rostagno altrove. Tra le scartoffie sono stati trovati, oggi, 23 anni dopo, verbali importanti, ci potrà essere una ragione per la quale Chicca Roveri la compagna di Mauro, invece di essere sentita come persona che poteva dare informazioni sulla realtà vissuta dal suo compagno, è finita invece in carcere; ci sarà una ragione per la quale nessun investigatore, a parte l’allora capo della Mobile Rino Germanà si occupò del black out che avvenne in contrada Lenzi, a Saman, la sera del 26 settembre 1988, proprio nelle ore del delitto. E dunque dell’operaio incaricato alla manutenzione in quell’area, Vincenzo Mastrantoni, poi ammazzato il 1 maggio del 1989, che era l’autista del capo mafia dell’epoca Vincenzo Virga.
Si dirà che tanti elementi importanti sono emersi solo dopo, è vero com’è vero che prima quasi nessuno ha tentato di capirci qualcosa della mafia trapanese. E mentre queste indagini brancolarono nel buio, solo nel 1994 venne emessa dai carabinieri una ordinanza di arresto a carico di Vincenzo Virga (sfuggito alla cattura, per sette anni latitante, fu catturato solo il 21 febbraio 2001 dalla Squadra Mobile di Trapani) e in tutti quegli anni rimase il capo mafia di Trapani, mentre secondo quanto emerso dalle indagini, sino al giorno prima del suo arresto ufficialmente Virga era “solo” un imprenditore che partecipava alle convention di Forza Italia e incontrava persone, anche in nome e per conto di Marcello Dell’Utri, il braccio destro di Silvio Berlusconi. E allora viene da pensare che un pezzo del “patto” scellerato tra Stato, mafia e politica è stato anche scritto dalle parti della provincia di Trapani e Rostagno fu ucciso perché a quella trattativa poteva
anche arrivare. E comunque infastidire questi legami.
La sua morte però non è servita a far tacere tutto: per questo ancora oggi il processo Rostagno continua a essere, per molti, un “processo scomodo”, poco raccontato, in cui si cercano di nasconodere responsabilità e contatti della mafia e degli amici dei mafiosi. A processo per il delitto Rostagno, Vincenzo Virga, mandante, e Vito Mazzara, esecutore dell’omicidio, non sono gli unici responsabili della morte di Rostagno, ma questo non significa che bisogna beatificarli come c’è chi pensa di fare trasformando loro in vittime.
Vittime sono state, Mauro Rostagno, che ha perso la vita poco più che quarantenne, e la società civile che non riesce ancora a trovare la strada del riscatto. Un’altra vittima è il giornalismo, ha perduto quello che poteva diventare un punto di riferimento importante, Mauro Rostagno, e sua figlia Maddalena che nel libro dedicato al padre, “Il suono di una sola mano” racconta che il suo sogno era quello di fare la giornalista.
Trackback dal tuo sito.