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Giuseppina Pesce torna a collaborare

Di Anna Foti* il . Calabria

A pochi giorni dalla sentenza contro la sua famiglia mafiosa, torna a riferire in Procura la collaboratrice di punta della Dda reggina, Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore, madre di tre figli, che domani comparirà in videoconferenza presso il tribunale di Palmi nel processo contro alcuni esponenti della famiglia di appartenenza. Dopo avere ritrattato le pesanti accuse di pressioni rivolte agli stessi organi inquirenti reggini, e dopo avere fornito elementi utili per l’operazione “All inside” e per la recente sentenza con rito abbreviato nell’ambito del processo alla cosca Pesce conclusosi con una condanna a 20 anni di carcere per il cugino, Francesco Pesce, latitante fino allo scorso agosto, e dello zio Vincenzo Pesce, Giuseppina chiarisce. Ma in realtà torna sui suoi passi e, ritrattando quello che aveva già ritrattato, decide di collaborare nuovamente.

Giuseppina Pesce, 31 anni, non solo figlia, ma anche sorella e moglie e cugina di affiliati alla cosca di ‘ndrangheta che porta il suo cognome, la prima pentita di una clan importante, che ha avuto un ruolo di rilievo all’interno del gruppo criminale, nell’ottobre 2010 aveva deciso di collaborare alcuni mesi dopo l’arresto, avvenuto nell’aprile 2010. Fu arrestata insieme al marito Rocco Palaia attivo nel clan. Adesso un nuovo colpo di scena in un verbale che risale al 2 agosto scorso, Giuseppina Pesce ritratta quelle gravi accuse, scritte in una lettera inviata alla Procura, affermando che il tutto sarebbe rientrato in una strategia difensiva decisa dal legale al quale si erano rivolti i familiari e che dunque la sua scelta di collaborare non sarebbe stata indotta ma sarebbe stata una sua libera decisione.

Dunque Giuseppina Pesce è tornata a collaborare con la giustizia e soddisfatto il suo sacrosanto bisogno, da sempre prioritario, di sapere al sicuro i suoi tre figli, adesso in programma di protezione. Si tratta di una collaborazione preziosa e la Dda reggina lo sa bene perché sono preziosi, riscontrati e riscontrabili, dunque attendibili, e lo sono stati da subito dichiarò lo stesso procuratore Giuseppe Pignatone all’indomani delle accuse, gli elementi di cui è conoscenza e di cui consente la conoscenza. Altri utili elementi saranno, quindi, forniti per l’accertamento di fatti criminosi, in un’attesa, che è ben al di là di un auspicio, che le ombre ed i veleni si allontanino da questa vicenda già troppo controversa.  

Ma qual è la sua storia? Esce allo scoperto, tradisce la sua famiglia, racconta degli affari illeciti dalla stessa condotti, per collaborare con la magistratura. Ciò avviene dopo l’arresto per associazione mafiosa ed altri reati, nell’ottobre del 2010. Una scelta che equivale ad una condanna a morte. Una pena irreversibile non prevista dalla legge dello Stato ma da quella dei mafiosi. Per questo chiede e ottiene dallo Stato di essere protetta. Poi interrompe questa collaborazione, dopo avere fatto arrestare madre e sorella, Angela Ferraro e Marina Pesce, a Milano nell’aprile del 2011. Il programma di protezione viene revocato. Ma le sue dichiarazioni non attengono solo a questa scelta di interrompere la collaborazione. La Pesce, infatti, dichiara anche di essere stata indotta a riferire agli inquirenti cose non vere e rivolge anche delle accuse pesantissime nei confronti della Procura di Reggio, denunciando di avere subito pressioni e ricatti, lei madre di tre figli, di cui uno con problemi di salute, da cui, in ragione del programma avrebbe dovuto stare lontano.

Quindi la scelta di non collaborare più con la magistratura, la fuoriuscita dal programma di protezione e poi nel giugno l’arresto nei pressi di Latina, per evasione dagli arresti domiciliari. Una storia, carica di colpi di scena, che impone riflessioni sul fenomeno relativamente giovane del pentitismo nella famiglie di ‘ndrangheta, sul ruolo delle donne nei clan, sui rischi e sulle ripercussioni, sulla delicatezza di molte situazioni in cui queste stesse donne si ritrovano, specie se madri, sull’operato delle procure particolarmente in prima linea nel contrasto al crimine mafioso, come quella di Reggio Calabria. Una vicenda che ha prodotto anche un polverone mediatico, cui oggi si aggiunge un nuovo capitolo. E con ogni probabilità non sarà l’ultimo.

*da ReggioTv

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