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Tiberio Bentivoglio si racconta ai crotonesi

Di Angela De Lorenzo* il . Calabria

«Mi chiamo Tiberio Bentivoglio, sono un imprenditore reggino e sono qui per raccontarvi la mia storia». Ha esordito così, in una sala consigliare gremita di persone, ma in cui non si sentiva volare una mosca, il presidente di “Regio Libera Regio”, giunto a Crotone giovedì 15 settembre, in occasione dell’incontro promosso da Libera e Unipol per promuovere un modello di economia sostenibile da realizzare sui terreni confiscati ai clan. Bentivoglio ha l’espressione di un uomo provato dalla vita, ma la sua voce, se bene in alcuni momenti è strozzata dall’emozione, resta decisa, perché piena di orgoglio e di dignità. La sua è una voce che vuole farsi sentire a tutti i costi, una voce che vuole indignare, perché, nonostante la consapevolezza che il conto da pagare arriverà come è già arrivato, non ha mai perso una speranza: quella di riuscire a svegliare le coscienze.

Tiberio Bentivoglio non è un illuso o un fanatico, ma un uomo lucido, perché consapevole di cosa voglia dire mettersi contro i mafiosi, visto che lo ha sperimentato sulla sua pelle, eppure non ha mai perso il coraggio è la speranza, perché per lui non piegare la testa è una questione morale. Lo ammette lui stesso: «Contrastare la mafia non è semplice e io lo so bene. Sono un piccolo imprenditore di Regio Calabria – inizia a raccontare – definita da sempre capitale della ’ndrangheta, eppure anche lì, se lo si vuole, si può fare economia sana, si può essere liberi. Basta avere la forza di dire no, di andare contro corrente. Tanti imprenditori come me – sostiene – si alleano con i mafiosi in cambio di protezione, ma io ho capito che questo per me avrebbe voluto dire sottoscrivere un mutuo a tasso crescente per tutta la vita. Si cade nell’inganno pensando che con la loro protezione si riuscirà a stare tranquilli, ma invece si sceglie di rivestire la parte delle vittime per sempre. Io, almeno, nonostante tutto, i danni subiti alla mia azienda, gli attentati alla mia persona, non ho mai perso la libertà, né la voglia di rialzarmi ogni volta che mi buttavano giù e di ricominciare».

La storia di ribellione alla mafia di Tiberio Bentivoglio inizia nel 1992: «subii un clamoroso furto all’azienda – racconta – e confidai i miei sospetti ad un comandante dei Carabinieri. Immediatamente scattarono controlli e perquisizioni. In seguito, dopo aver licenziato un dipendente che ritenevo sospetto, furono inferti altri gravi attacchi alla mia fiorente attività, una bomba fece saltare in aria il mio negozio. Anche allora denunciai e dalle indagini scaturì un processo penale. Da allora ho iniziato a subire minacce di morte, che mi hanno tolto la serenità». Bentivoglio non ha mai manifestato ripensamenti, è sempre andato avanti per la sua strada, ricostruendo quello che i clan gli distruggevano e soprattutto denunciando tutto. Proprio questo, però, è stato interpretato dalla criminalità organizzata del luogo come una sfida, infatti a distanza di due anni sono tornati di nuovo all’attacco e questa volta per distruggere completamente il suo negozio.

«Oltre alla mia azienda – racconta amareggiato – è stato devastato il sistema psicologico mio e di tutta la mia famiglia. Ciò che ci ha feriti di più è stato l’abbandono da parte delle istituzioni, che si sono dimenticate di noi. Solo l’amore e la tenacia della mia famiglia, insieme al sostegno di Libera mi hanno dato ancora una volta la forza di ricominciare. Senza Libera ormai non potrei vivere, perché è stata e continua ad essere imprescindibile nella mia storia». Bentivoglio i suoi risultati li ha comunque conseguiti: nel 2010, a conclusione del processo scaturito dalla sue denunce, sono stati arrestati quattro malavitosi. Un processo duro, che si è ritrovato a dover affrontare da solo, «senza il sostegno di istituzioni, come Comune, Provincia e associazioni, che non si costituiscono parte civile e che quando lo fanno è in maniera asettica».

Quando è uscito vittorioso da quel Tribunale non c’era nessuno a festeggiare con lui. «Ero solo con il mio legale – racconta – fuori mi attendevano già gli sguardi beffardi degli amici dei mafiosi, che sono tanti, mentre io sono sempre e soltanto uno». Ma quella non è stata l’unica occasione in cui ha sperimentato un’amara solitudine: «costituirmi parte civile è stata un’impresa assurda – spiega – nessun avvocato voleva difendermi, gli amici di un tempo mi hanno chiuso le loro porte in faccia, i clienti non entravano più in negozio. Non c’erano più, improvvisamente, nemmeno compagnie assicurative disposte, una volta scaduta la polizza, ad assicurare il mio negozio, che era diventato “attività a rischio”. Tante volte in questi anni mi sono sentito abbandonato, soprattutto da chi aveva il dovere di non abbandonarmi per consentirmi di ripartire con l’attività. Ho dovuto aspettare sei lunghi anni per essere risarcito come vittima, per esempio. E poi, alle banche non interessa sapere che sei vittima di mafia, pretendono comunque il rientro degli affidamenti, che io non sono riuscito ad onorare. Per questo è stata notificata anche la vendita all’asta della mia casa… Intorno a me, praticamente si è creata la famigerata “terra bruciata”. Per clienti, compaesani ed amici, sono solo una persona da evitare».

Tutto questo mentre i clan coltivano la vendetta, solo qualche mese fa infatti, Bentivoglio è stato vittima di un agguato, lo hanno sparato alle spalle e si è salvato per un caso fortuito. «Non vivo bene, non posso negarlo – ammette – eppure sono orgoglioso: nessun mafioso potrà mai vantarsi di avere ricevuto i miei soldi».
Quando Bentivoglio ha concluso il suo inteso racconto con un “grazie”, quella platea che lo ha ascoltato sgomenta si è alzata in piedi, tributandogli un applauso così lungo e scrosciante, che ha assunto il significato di uno sfogo misto all’orgoglio. Se lo è meritato tutto, perché, sebbene tornavano alla mente le parole che il prefetto, Vincenzo Panìco, aveva proferito qualche minuto prima della sua testimonianza – «a Crotone – aveva detto – nonostante l’iniziativa “Io denuncio”, ancora sono troppo poche le denunce di estorsione» – Bentivoglio  ha dato prova del fatto che esiste una, seppur piccola, parte di Calabria che resiste e per la quale vale la pena sperare ancora.

*da Il Crotonese

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