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Trapani, la vittoria del prefetto Sodano

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Nell’ottobre del 2005, il 5 ottobre per l’esattezza, Anno Zero di Michele Santoro mandò in onda un reportage firmato da Stefano Maria Bianchi su Trapani a poche settimane dalla conclusione degli atti preliminari della Coppa America. Qualcuno scrisse su un giornale locale che Trapani avrebbe fatto bene a cambiare canale perché non c’era nulla di vero e di buono in quel reportage, a scrivere così era un sacerdote, don Ninni Treppiedi, oggi finito in mezzo a mille guai col Vaticano quanto con la Giustizia a sentire alcune indiscrezioni. In quel reportage sotto accusa era finito l’allora sottosegretario all’Interno senatore D’Alì, assieme all’odierno sindaco di Trapani, Girolamo Fazio, e lo scandalo sfiorava anche il prefetto dell’epoca Giovanni Finazzo.

Si parlava in quel reportage di appalti combinati, della mafia che aveva messo le mani sui lavori di allestimento per rendere il porto perfetto ad accogliere le barche a vela della Coppa America, c’era anche l’immagine malata dell’ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano che a gesti raccontò al giornalista Stefano Maria Bianchi che lui nel 2003 da Trapani era stato mandato via nel giro di 24 ore. Un giorno prima dal Viminale gli era stato assicurato che non era nella lista dei movimenti dei prefetti, l’indomani si ritrovò “sbattuto” ad Agrigento, per volere, disse del senatore Tonino D’Alì, oggi presidente della commissione Ambiente del Senato e indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Agli atti di questa indagine c’è anche il trasferimento da Trapani di Sodano col quale era entrato in contrasto a proposito della gestione dei beni confiscati alla mafia.

Trapani non cambiò canale quel giorno ma non ha mai premiato il prefetto Sodano rimasto in attesa di avere consegnata la cittadinanza onoraria della città deliberata nel dicembre 2005 dal Consiglio comunale all’indomani di una operazione antimafia della Polizia che dimostrò come Sodano da prefetto aveva respinto l’attacco diretto che i mafiosi insospettabili avevano portato fin dentro il suo ufficio quando volevano convincerlo a vendere la Calcestruzzi Ericina una azienda confiscata a Cosa Nostra trapanese e la cui presenza sul mercato, con la gestione dello Stato, faceva concorrenza alle imprese rimaste sotto il controllo degli imprenditori mafiosi. Il prefetto Sodano per quella intervista è stato citato in giudizio civile dal senatore D’Alì davanti al Tribunale di Roma, assieme alla Rai e ai giornalisti Michele Santoro e Stefano Maria Bianchi. Il Tribunale Civile ha respinto la richiesta di risarcimento dei danni, il senatore D’Alì non l’ha spuntata contro Sodano.

Il prefetto Sodano difeso dall’avv. Giuseppe Gandolfo oggi ha ricevuto giusta ragione: «E’ un risultato importante per il prefetto – dice Gandolfo – ma per tutti quelli che hanno sempre creduto nel lavoro onesto e coraggioso di Sodano, non meno rilevante è la circostanza che il fatto è incluso tra gli episodi contestati dalla Procura di Palermo al senatore D’Al’, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa».  Agli atti di questa indagine ci sono cinque pagine fitte fitte, il verbale di un interrogatorio su carta intestata della Procura della Repubblica di Trapani. In fondo, alla fine di quel verbale che reca la data del 22 luglio 2004, le firme di un magistrato, il pm Andrea Tarondo e quella del prefetto, Fulvio Sodano. Dentro c’è scritto il racconto di una storia, di un compito che è stato impedito di assolvere in pieno, fino in fondo, ossia la gestione e l’utilizzo dei beni confiscati, cosa che in provincia di Trapani forse non doveva andare come è andata, e dove alla fine quando era impossibile tornare indietro, qualcuno doveva pagare.

Fulvio Sodano fu “cacciato” via da Trapani nell’estate del 2003 dall’allora Governo Berlusconi, ministro dell’Interno Beppe Pisanu oggi presidente della commissione nazionale antimafia. La commissione che ha pure tentato nella passata legislatura e in quella prima ancora di affrontare la questione, ma non trovò unanimi visioni. “Signor prefetto ma lei sta favorendo troppo la Calcestruzzi Ericina”. Quella non era una impresa qualsiasi, era una ditta confiscata alla mafia, che era diventata patrimonio dello Stato. Favorire perciò la Calcestruzzi Ericina significava appoggiare lo Stato. E quella era la cosa che stava facendo a Trapani il prefetto Fulvio Sodano, massima espressione dello Stato non poteva fare altro. Chi gli si rivolse a lui dandogli del “favoreggiatore”, secondo il racconto di Fulvio Sodano al magistrato che andò a sentirlo, fu l’allora sottosegretario all’Interno senatore Antonio D’Alì.

Non è una storia nuova quella che si sta scrivendo. La faccenda è conosciuta. Un paio di processi sono stati celebrati, le sentenze hanno accertato una serie di cose accadute a Trapani tra il 2001 e il 2005. A 20 anni è stato condannato il capo mafia di Trapani “don” Ciccio Pace, 8 anni di carcere ha avuto inflitti il suo braccio destro l’imprenditore Vincenzo Mannina. Pace era quello che voleva togliere di mezzo la Calcestruzzi Ericina in un periodo in cui a Trapani stavano arrivando milioni di euro di finanziamenti per fare bello e moderno il porto, e gli imprenditori mafiosi si vantavano di potere controllare quelle opere pubbliche in corso di appalto perché possedevano bandi e capitolati di gara ancora prima che venissero pubblicati. Non c’era bisogno sotto la “regia” di “don” Ciccio Pace che gli appalti venissero pilotati tutti, le imprese che se li aggiudicavano sapevano che prima di cominciare i lavori dovevano andare a bussare a certe porte, e che i materiali per i cantieri, gli inerti, sabbia e pietrisco, il ferro, il cemento solo da certe imprese doveva essere comprato. “Don” Ciccio Pace aveva la sua impresa, la Sicilcalcestruzzi, le quote le aveva comprate, ufficializzando così la sua presenza che esisteva già da anni sottobanco, con i soldi ottenuti per un risarcimento per ingiusta detenzione.

Per vendere gli inerti c’era l’impresa di Vincenzo Mannina, per gli asfalti quella di un altro imprenditore che faceva parte della cupola, Tommaso Coppola. Il ferro lo vendeva in esclusiva Nino Birrittella, l’uomo che dopo l’arresto ha deciso di uscire da Cosa Nostra raccontando ogni segreto di quella cupola fatta di imprenditori: non ha accettato alcun programma di protezione, ha chiesto di rimettersi sulla corretta via rimettendosi a lavorare, pronto a saldare i suoi conti con la giustizia quando arriverà questo momento. Una storia del tutto diversa da quella per esempio seguita da Tommaso Coppola che, come di recente ha svelato l’operazione antimafia “Cosa Nostra resorts”, dal carcere ha cercato di continuare a gestire in modo truffaldino le sue imprese, ha cercato di continuare a colloquiare con i politici, a parlare attraverso intermediari col prefetto Giovanni Finazzo successore di Sodano a Trapani, perché le commesse alle sue aziende non venissero fermate.

Ma torniamo agli appalti e al cemento. Dopo la confisca la Calcestruzzi Ericina, era il 2000, cominciò a registrare un calo nelle commesse. Magicamente gli imprenditori che costruivano palazzi e realizzavano opere pubbliche non andavano più in quell’impianto a comprare cemento. Nessuno è mai venuto a dire che ci fu un ordine, un passaparola, ma è quello che avvenne senza suscitare tanto scandalo. Ecco il racconto al magistrato da parte del prefetto Fulvio Sodano comincia proprio da questo punto. «Non appena assunte le funzioni di prefetto di Trapani mi resi conto che la situazione dell’amministrazione dei beni confiscati alla mafia era estremamente grave, nel senso che erano numerosissimi i beni confiscati ma mai assegnati e che molti di tali beni erano ancora nella materiale disponibilità dei soggetti mafiosi cui erano stati confiscati. Immediatamente mi attivai per promuovere incontri con tutti gli enti interessati per tentare di fare attivare le procedure burocratiche di asse
gnazione incontrando difficoltà ed inerzie, per asserita mancanza di personale».

Il prefetto Sodano a quel punto cominciò ad incontrare gli amministratori dei beni confiscati. Fu quello il momento in cui ebbe a conoscere gli amministratori della Calcestruzzi Ericina, il dott. Luigi Miserendino e l’avv. Carmelo Castelli: «Mi rappresentarono l’immobilismo del Demanio rispetto alle loro richieste e mi dissero che nonostante l’ottima qualità di calcestruzzo prodotto, venduto ad un prezzo più basso degli altri concorrenti, incontravano fortissime difficoltà di mercato e il fatturato ogni giorno scendeva sempre di più. Mi dissero che l’azienda rischiava di chiudere». Il prefetto Sodano comprese subito le conseguenze: «Decisi che un bene acquisito dallo Stato che aveva sia un forte valore simbolico sul territorio sia una incidenza importante in un settore strategico per la mafia quale quello del calcestruzzo, doveva essere salvato e diventare l’emblema della rivincita dello Stato sull’antistato».

La prima persona con la quale il prefetto Sodano affrontò l’argomento fu con l’allora presidente dell’Associazione degli Industriali Marzio Bresciani: «Gli dissi che non capivo come mai a fronte di un prezzo e qualità migliori i suoi associati preferissero rifornirsi altrove, lasciai intendere che paventavo una possibile interferenza mafiosa. Quindi lo pregai anche in considerazione dell’economicità e della qualità del prodotto, di farsi portavoce presso i suoi associati, magari quelli che più gli erano vicini, di valutare la possibilità di rifornirsi anche presso la Calcestruzzi Ericina……Dopo alcuni giorni saputo che presso il porto erano in corso consistenti lavori contattai con le stesse motivazioni addotte nel colloquio con Bresciani il comandante del Porto Agate perché si facesse presente alla ditta appaltatrice la convenienza a comprare cemento dalla Calcestruzzi Ericina….Tempo dopo seppi che gli interventi avevano sortito un certo effetto gli amministratori della Calcestruzzi Ericina mi dissero che si era allontanato il rischio della chiusura».

Il prefetto Fulvio Sodano però ancora non sa che quei suoi interventi avevano cominciato a sortire fastidio dentro Cosa Nostra trapanese, lui era diventato “tinto” e don Ciccio Pace cominciava a dire che quel prefetto doveva andare via. Nel giugno del 2002 l’editore di una emittente locale, Giuseppe Bologna, manager di Tele Scirocco, incontrandolo gli disse che giravano certe voci sul suo conto circa un possibile trasferimento: «Confidenzialmente mi disse di avere saputo che i principali referenti di Forza Italia nella provincia di Trapani avevano chiesto nel corso di un incontro l’allontanamento da Trapani del prefetto, del procuratore e del dirigente della squadra Mobile. Alla cosa non diedi peso».

Il prefetto Sodano continuò la sua attività sui beni confiscati e a favore della Calcestruzzi Ericina. Nelle riunioni ufficiali però cominciarono ad emergere faccende strane: «Fu quando discutemmo con Comune di Favignana e Soprintendenza delle sorti dell’impianto di calcestruzzo che l’Ericina possedeva a Favignana. Quello era l’unico impianto. Mi colpì l’affermazione del rappresentante comunale che mi disse che una volta terminati i lavori di costruzione di una galleria non c’era più necessità di avere un impianto sull’isola». Come se a Favignana nessuno avrebbe più costruito e usato cemento che a quel punto se l’impianto avesse chiuso doveva arrivare da Trapani con gli inevitabili costi maggiorati per il trasporto.

Il prefetto avvertì che c’era qualcosa di strano che si muoveva attorno alla Calcestruzzi Ericina. A porre ostacoli non erano malavitosi, mafiosi, imprenditori poco raccomandabili, si fanno avanti le istituzioni. Gli uomini potenti della politica: «Durante una manifestazione ufficiale in prefettura fui avvicinato dal senatore D’Alì Antonio, sottosegretario all’Interno, il quale mi chiese spiegazioni in ordine al mio comportamento relativamente al “favoreggiamento” operato nei confronti della Calcestruzzi Ericina che in base a notizie che aveva avuto da altri avrebbe alterato il libero mercato del calcestruzzo, determinando una sleale concorrenza alle altre aziende del comparto. Gli spiegai quali fossero le motivazioni del mio comportamento e anzi mi meravigliai di quelle doglianze perché in realtà il mio atteggiamento tendeva esclusivamente a contrapporre una azione forte dello Stato ai poteri mafiosi. In sostanza avrei voluto che un bene ormai di proprietà dello Stato potesse sopravvivere in maniera emblematica contro tutti i tentativi della mafia di riappropriarsene o di distruggerlo. Subito dopo il sottosegretario mi disse che se le cose stavano così non aveva altro da dirmi se non che per l’avvenire questi interventi li dovevo fare esclusivamente in prima persona (era successo che per i lavori al porto aveva delegato il suo vicario dott Sciara a colloquiare col comandante Agate ndr)».

Ai mafiosi a fine 2002 balena l’idea di sollecitare la vendita della Calcestruzzi Ericina. Nel gennaio 2003 il prefetto Sodano racconta di avere ricevuto una visita. «Mi fu chiesto un incontro da parte del presidente di Assindustria Marzio Bresciani e del direttore Francesco Bianco. All’incontro si presentò anche l’imprenditore Vito Mannina. Mi fu consegnata la proposta per la nomina a cavaliere dello stesso Mannina. Durante la riunione incidentalmente fu avanzata la proposta di acquisizione da parte dell’impresa Mannina della Calcestruzzi Ericina con assorbimento da parte dell’impresa Mannina di manodopera e acquisizione dei beni aziendali. Feci presente che in questo interlocutore principale era l’Agenzia del Demanio, uno degli interlocutori, forse Bianco, mi fece presente che loro avevano già sentito il geometra Nasca che aveva già dato il suo assenso. Poiché ero a conoscenza che da alcuni mesi Nasca era stato sollevato dai suoi incarichi in materia di beni confiscati mi meravigliai con loro per essersi rivolti a tale soggetto, comunque rinviai ogni altra discussione ad altra seduta successiva. Per me portare avanti quella richiesta significava abdicare alle mie iniziali decisioni che andavo perseguendo, incaricai il capo di gabinetto di contattare l’associazione degli industriali per dire che della loro proposta non se ne faceva nulla. Con l’Assindustria ebbi comunque un altro incontro, erano stati molto insistenti nel chiederlo, stavolta c’era presente il figlio di Vito Mannina, Vincenzo, fu l’occasione per manifestare di persona tutte le mie perplessità, ma feci presente che siccome la titolarità era del Demanio, potevano rivolgersi a quell’ente, feci loro capire che se fosse stato chiesto il mio parere sarebbe stato negativo».

La Calcestruzzi Ericina non fu venduta. Gli imprenditori non ci provarono nemmeno a parlare con i funzionari dell’Agenzia del Demanio e con chi aveva tolto l’ex funzionario Nasca da quella poltrona. Il prefetto Sodano nel luglio del 2003 presiede in prefettura la sua ultima riunione da prefetto di Trapani. E’ una riunione che mette le basi perché i beni confiscati mai più restino inutilizzati. Al suo fianco c’è seduto il presidente di Libera Luigi Ciotti. Personalmente a me confidò: «Vado via per questa riunione». E’ a conoscenza dei motivi del suo trasferimento da Trapani ad Agrigento? Si trattava di un trasferimento già programmato? E’ questa l’ultima domanda rivolta al prefetto Sodano dal pm Tarondo durante quell’interrogatorio del luglio 2004. Sodano così risponde: «Ho avuto conoscenza del mio trasferimento nel tardo pomeriggio del giorno precedente la seduta del Consiglio dei Ministri. Mi telefonò il capo di gabinetto del ministro facendomi presente che l’indomani sarei stato nominato prefetto di Agrigento. Alle mie rimostranze basate sul mio momento non facile di salute, noto al ministero, e per il quale avevo chiesto di rimanere a Trapani almeno altri sei mesi, ebbe a dirmi che la distanza che rispetto ad Agrigento c’era con Palermo era identica a quella con Trapani, mi invitò a prendere servizio ad Agrigento perché l’amministrazione mi sarebbe stata vicina. Tut
to questo avveniva mentre non molto tempo prima aveva avuto garanzia che per un po’ di tempo non sarei stato trasferito. All’epoca di quel mio trasferimento molti altri colleghi che avevano raggiunto le loro sedi in concomitanza con la mia assegnazione a Trapani erano ancora in quelle stessi sedi».

Una sentenza quella che ha condannato “don” Ciccio Pace a 20 anni di carcere scrive che l’azione dei mafiosi fu rivolta contro un uomo valoroso e coraggioso, il prefetto Fulvio Sodano. Condannato a sette anni è stato anche l’ex funzionario del Demanio, Francesco Nasca. Adesso a favore del prefetto Sodano questo pronunciamento del Tribunale Civile. Che fa salvo anche il lavoro giornalistico di Stefano Maria Bianchi che fu oggetto di una dura contestazione in Consiglio provinciale quando presidente della Provincia era proprio il senatore d’Alì ed il prefetto Finazzo andava dicendo pubblicamente che lui non contestava i giornalisti venuti da Roma ma quelli che a Trapani erano stati le loro fonti. Anni dopo si dimostrò che quelle fonti avevano visto giusto, dietro gli appalti del porto e della Coppa America, sotto il controllo di Protezione civile, prefettura e Comune di Trapani, ad operare c’era una “cricca” del malaffare.

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