Debito pubblico: che fare?
Siamo disposti a scommettere che il record assoluto di 1.912 miliardi raggiunto dal debito pubblico italiano il 31 luglio 2011 sarà presto superato. È il caso di ricordare che al 31 dicembre 2010 era arrivato a 1.843 miliardi. Il che significa che è aumentato di 69 miliardi in 7 mesi: quasi 10 miliardi al mese. Partendo da questi numeri è facile capire perché ogni manovra economica realizzata negli ultimi mesi si rivela inefficace. Mentre il Governo cambia idea un giorno sì e l’altro pure, annunciando un intervento al lunedì per smentirlo entro la fine della settimana, mentre magari si discute per un mese se introdurre un aumento di un punto percentuale dell’IVA che porterebbe circa 5 miliardi di euro in un anno nelle casse dell’erario, ogni mese 10 miliardi di euro si accumulano a carico delle future generazioni, che dovranno pagare anche gli interessi.
Tutto questo avviene in un contesto molto diseguale. Infatti I dati (forniti dalla Banca d’Italia) sul patrimonio degli italiani ci dicono che il 50% (più povero) delle famiglie detiene meno del 10% della ricchezza, mentre il 10% (più ricco) delle famiglie italiane possiede il 45% del patrimonio nazionale. Dai dati del Dipartimento delle Finanze relativi alle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2010 risulta che, sul totale dei redditi che ammonta a 738 miliardi di euro, 636 miliardi (cioè l’86%) sono dichiarati da lavoratori e dipendenti. Non solo: il reddito medio dei pensionati è 14.600 euro, quello dei dipendenti è 19.790 euro, mentre quello dei lavoratori autonomi e dei professionisti è soltanto di 18.974 euro.
Considerando questa situazione molte voci si sono levate per chiedere l’introduzione di un contributo di solidarietà versato dai redditi più alti o di una patrimoniale per chi possiede ad esempio molti immobili. Ma è stato giustamente osservato che prima dei ricchi accertati (che pagano già le imposte dovute) dovrebbero pagare i finti poveri, cioè gli evasori parziali o totali. Oltre al modello “classico” di evasione, rappresentato dall’idraulico o dal barbiere che non rilasciano la ricevuta fiscale, ci sono altri “modelli” di evasore tipo. Tra questi ci sono alcuni imprenditori e alcune società che creano fittizie società estere che servono soltanto per trasferire gran parte del reddito di un’impresa in un Paese in cui la pressione fiscale è più bassa. E c’è un’altra sacca di evasione clamorosa: la prostituzione. Le proposte finora avanzate per ridurre l’evasione fiscale fanno soltanto il solletico al fenomeno, anche perché agli accertamenti fiscali seguono contenziosi che si risolvono spesso in versamenti ridicoli.
Negli ultimi giorni si è parlato insistentemente di rischio di fallimento per la Grecia e c’è chi ipotizza che dopo la Grecia il rischio riguarderebbe l’Italia (visto che nel rapporto debito/PIL siamo secondi solo alla Grecia). Per cercare di evitare il “default” Governo e Parlamento passano senza soluzione di continuità da una manovra ad un’altra. Ma c’è anche chi sta proponendo una via più drastica: dichiarare l’insolvenza dei titoli di stato, quanto meno nei confronti delle banche che detengono buona parte di questi titoli. Insomma, si dice, paghino le banche. Mentre la nave sta affondando si può dire giustamente che la colpa è anzitutto del capitano o del timoniere, ma non bisogna dimenticare il senso di responsabilità che implica “la rimessa dei debiti”.
Apriamo la discussione su chi deve pagare di più, ma non possiamo far finta che la questione non ci riguardi direttamente. Un segnale positivo viene dal liceo scientifico statale “Isacco Newton” di Roma, dove il collegio docenti – nonostante i tagli alla scuola – di fronte alla crisi del Paese ha deciso di donare un’ora di lavoro per 4 mesi (si tratta di 40.000 euro), raccogliendo un invito del Presidente della Repubblica. Hanno chiamato questa bella iniziativa “un dono per l’Italia”. Un esempio e una testimonianza preziosa, soprattutto di questi tempi.
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