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Diretta planetaria del terrore

Di Ennio Remondino il . Internazionale, L'analisi

Dichiarazione di guerra in diretta televisiva. Le grandi tragedie collettive hanno sempre una chiave di lettura personale. Il dare un senso a ciò che senti e vedi. A volte la prima emozione coincide con una valutazione sensata, quella che ti resta dentro. Come mi è accaduto, da vecchio “televisivo” attonito che, come tutti voi, guardava quelle immagini da follia inimmaginabile. Dal dubbio-speranza iniziale dell’incidente assurdo per la prima torre, all’esplicito attentato terroristico con il secondo aereo che si impastava sulla gemella. “La regia del terrore”, pensai allora, in un momento, quasi avessi assistito ad una messa in scena televisiva di bassa lega e pessimo gusto. L’attacco di Al-Qaeda, l’11 settembre dei 2001 alle Torri gemelle di New York – ripensiamoci assieme- è in realtà la prima dichiarazione di guerra in diretta televisiva. Ogni obiettivo è un simbolo. Il potere economico statunitense, il World Trade Center, colpito. Il potere militare, il Pentagono, colpito. Il potere politico, la Casa bianca, mancata per un soffio.

Golpe televisivo universale. Il ragionamento che segue l’emozione razionalizza le percezioni. Se lo scopo degli attentatori fosse stato quello di uccidere il maggior numero possibile di nemici, gli stessi terroristi avrebbero potuto dirottare gli aerei su delle centrali nucleari a della dighe. Invece gli obiettivi sono metafore politiche, distrutte in modi e tempi assolutamente televisivi. I 18 minuti trascorsi tra lo schianto del primo aereo e il secondo attacco fanno si che tutte le telecamere, puntate sul rogo che devasta la prima torre, possano mostrare il secondo attentato in diretta planetaria. Osama bin Laden realizza, di fatto, una sorta di golpe televisivo universale. Occupa il video di tutti i paesi del mondo e impone le immagini del proprio devastante delirio. Svela l’insospettabile vulnerabilità del colosso americano e di tutti noi ricchi occidentali, e mostra assieme la propria potenza in una coreografia del terrore accuratamente costruita. Osama bin Laden diventa il primo profeta digitale del nuovo terrorismo, che non ha confini.

Effetto Stranamore. Un terrore che non esige concessioni politiche o territoriali, o l’instaurazione di un certo regime. Un terrore che ripesca dal Medioevo delle crociate la rabbia vendicatrice che, nell’interpretazione di Bin Laden, diventa Fatwa, giudizio di morte. Resa dei conti con i paesi occidentali eredi dello sciagurato Urbano II, e contro la leadership statunitense, che alla storia delle prepotenze cristiane nei confronti dell’Islam aggiunge l’incondizionato appoggio a Israele. Terrorismo di memoria arcaica, declinato attraverso aggiornatissimi linguaggi mediatici. E regole della comunicazione che valgono anche per l’antiterrorismo. Quando un cattivo sfugge per troppo tempo alla sua punizione, i buoni non fanno una gran bella figura. Ed ecco che la caccia a Bin Laden scatenata tra le montagne afghane, scompare nell’attenzione politica e giornalistica, salvo l’ennesimo funerale di Stato per il quarantesimo soldato italiano morto. Quasi Bin Laden sia stato il parto di una fantasia paranoica di qualche Stranamore impazzito. Sia esso vivo o morto.

Troppi trombettieri fra di noi. La regia nella creazione del consenso a sostenere, o del silenzio ad occultare, appare chiara. Oggi a commemorare, domani a rimuovere. Soprattutto di fronte ai risultati incerti a drammatici delle guerre scatenate da allora contro il terrorismo. L’Afghanistan che frequentavo nel 2002, anticipando e inseguendo i primi bombardamenti americani, rispetto all’Afghanistan che oggi, migliaia di morti e migliaia di miliardi di dollari dopo ci appare peggio di prima. E allora, Mea culpa doveroso. Anche il giornalismo è assieme carnefice e vittima di questo circuito perverso. Scrivi sul giornale e, come leggenda vuole il tuo sforzo servirà a incartare l’insalata. Parli in televisione e ti riconoscono dal verduraio. Nel giornalismo attuale ogni tromba che chiama all’assalto vuole un suo trombettiere. La questione se sia la guerra a corrompere l’informazione o se, viceversa, sia l’informazione satura di volontari a dare i peggio di sé, somiglia all’eterno litigio sul primato fra uovo e gallina.

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