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Caos afgano

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

Cos’è oggi l’Afghanistan dopo dieci anni di guerra al terrore? Si può provare a dare una risposta mettendo insieme alcuni dati. Sconfortanti. Per l’ennesima volta il paese si conferma come il primo produttore mondiale di oppio, come la nazione che produce più hashish di qualunque altra e come il secondo più corrotto. Una realtà ben lontana di quella che avrebbe dovuto essere il paese liberato dai talebani. Ebbene, dieci anni di una lunga e sanguinosa guerra hanno devastato l’Afghanistan. Senza, con questo, liberarlo dai talebani che continuano a fare uno stillicidio di soldati stranieri. L’agenzia delle Nazioni Unite su droga e criminalità organizzata (Unocd) stima che nel 2010 l’Afghanistan ha prodotto il 63% dell’oppio mondiale.

Su 195.700 ettari di terreno a livello globale coltivati ad oppio, da cui poi si ricavano morfina ed eroina, ben 123.000 si trovano proprio nel paese dell’Asia centrale. Nello specifico, più dell’80% dell’oppio afgano è prodotto nelle regioni dove forte è la presenza talebana. Inoltre, il paese si è riempito di laboratori dove l’oppio viene raffinato e poi smerciato in mezzo mondo. «L’eroina afgana – si legge nel World drug report dell’Unodc – è trafficata in ogni parte del mondo, con l’eccezione dell’America centro-meridionale». La posizione strategica del paese gli permette un facile accesso ai mercati della droga. «Gli oppiacei – scrive ancora l’Unodc –  confluiscono dall’Afghanistan attraverso Pakistan, Iran e Asia centrale prima di essere spostati nei principali mercati di consumo». Quali? Europa dell’est e Asia sud-orientale.

Lo scorso anno, stimano ancora dall’Onu, il traffico di oppiacei ha avuto un fatturato di 68 miliardi di dollari. Di questi ben 60 miliardi provenivano dall’oppio afgano. Ancora non basta? L’Afghanistan ha scoperto un altro importante volano di “sviluppo”: l’hashish. Secondo l’Unodc tra i 9 mila e i 29 mila ettari di terra sono coltivati a cannabis. Ogni ettaro coltivato rende 145 chili di hashish rispetto ai 40 del Marocco. C’è una relazione tra la produzione di narcotici e gli esiti fallimentari della guerra? A ben vedere, oppio e cannabis sono coltivati maggiormente nelle regioni più instabili. Guarda caso quelle dove è maggiore la resistenza armata contro le truppe Onu. Nella sola provincia di Helmand, al confine con le regioni pashtun del Pakistan, nel 2010 è stato prodotto più della metà dell’oppio afgano, oltre 66 mila tonnellate.

I talebani non promuovono la coltivazione di oppio. Durante il loro regime la vietarono, abbattendone la produzione. Gli “studenti di Dio” si limitano ad imporre una tassa a produttori, proprietari di laboratori di raffineria e trafficanti, con la quale finanziare la lotta armata. Spesso sono gli stessi contadini a scegliere di produrre oppio e cannabis, perchè frutta molto di più. L’oppio essiccato, ad esempio, quest’anno viene pagato in media 274 dollari al chilo, registrando un aumento del 180% rispetto al marzo del 2010 quando valeva 98 dollari al chilo. Paragonato alla produzione di cereali la differenza nei ricavi è abissale. Il grano viene venduto a 0,40 dollari al chilo, il riso a un dollaro al chilo e il mais a 0,33 dollari al chilo. Nonostante i tentativi, i programmi di eradicazione delle coltivazioni di oppio e cannabis non hanno raggiunto i risultati prefissi. A completare il quadro disarmante del nuovo Afghanistan si aggiunge la corruzione.

La nuova democrazia afgana è debole e corrotta. Transparency international, nell’annuale rapporto sulla corruzione nel mondo, definisce il paese «altamente corrotto». Nella classifica stilata l’Afghanistan è al penultimo posto. Una situazione che rende difficile la stabilità del paese, e praticamente impossibile uno sviluppo economico alternativo a quello legato al narcotraffico. Per Transparency: «La corruzione minaccia il successo della missione internazionale in Afghanistan». Una realtà nei confronti della quale né il governo di Hamid Karzai, né la comunità internazionale, né gli Usa riescono a dare risposte concrete. Spesso perchè di quella corruzione sono gli artefici. L’invito fatto dall’ong statunitense è di dare maggiore impulso ad azioni di contrasto interne contro la piaga della corruzione, rafforzando la legislazione e applicando le leggi. Un invito esteso anche alla comunità internazionale affinchè: «Modifichi il modo in cui gestisce i flussi finanziari, specialmente i soldi associati con le operazioni di sicurezza e il modo in cui offre contratti per beni e servizi».

Una richiesta simile arriva anche dall’Afghanistan stesso. Dalle associazioni nate dopo il conflitto e che, nonostante i mille pericoli, hanno iniziato un lavoro di ricostruzione dal basso. Hanno lanciato un appello alla comunità internazionale affinchè lavorino non solo per la sicurezza militare, ma anche per la sicurezza umana degli afghani. Altrimenti, avvertono, il tanto annunciato ritiro si trasformerà in una nuova lunga e dolorosa occupazione militare del paese.

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