Un mito sfatato
Ci svegliamo sulle “Terre di Don Peppe Diana”, cooperativa agricola che sorge su di un bene confiscato: e abbiamo l’occasione di spingere per la prima volta lo sguardo sulle terre dell’agro aversano che ci circondano. Passiamo la mattinata ad aiutare nei lavori di manutenzione i ragazzi della cooperativa: in particolare c’è bisogno di catalogare i libri della biblioteca ospitata negli uffici dell’azienda. Piccola in assoluto, ma enorme visto il contesto in cui sorge, fra i malandati fabbricati che la circondano. E soprattutto, come ci spiega Elena, che è fra i responsabili della cooperativa, un vero baluardo di cultura, considerando che Castelvolturno non dispone di alcuna biblioteca pubblica.
Prima di pranzo ci soffermiamo proprio con Elena, che ci racconta la storia del luogo che ci ospita: una volta era un allevamento di cavalli di razza del boss Michele Zazza, ma dal 2006 vi è stato arrivato un progetto di riutilizzo sociale sotto l’egida di Libera. Ma i tempi sono lunghi. Come avevamo avuto modo di apprendere anche a Cascina Caccia, le lungaggini burocratiche per quanto riguarda l’utilizzo dei beni non sono poche, e i problemi di vario genere collegati alle situazioni dei singoli beni, innumerevoli.
Ci racconta Elena che spesso ci sono problemi con gli enti locali, che, se non collusi, non di rado dimostrano indifferenza, o comunque non si spendono a favore di questi progetti. Altre volte bisogna convivere con l’ostilità più o meno manifesta delle aziende confinanti, che non vogliono “guai”. In generale, in territori difficili come quelli del napoletano e del casertano, ci sono grossi problemi a penetrare nelle comunità locali, a farsi conoscere e accettare. “Sono convinta che la vera rivoluzione per queste terre possa partire solo dal basso, ma non è facile. Il sud è ancora molto individualista: la logica della Rete, l’unica vincente, deve ancora penetrare a fondo. E poi sarebbe bello che in questi progetti di cooperative fossero coinvolti ragazzi del posto: sono contenta che passiate voi, come i ragazzi di tutta Italia che vengono qui a fare i campi di volontariato, ma non ha senso che in tre anni siano venuti solo pochissimi ragazzi di Castelvolturno”.
Il clou della giornata è però nel pomeriggio: andiamo a Scampia, periferia Nord di Napoli, a trovare un amico, Rosario Esposito La Rossa. Rosario ha ventidue anni, e ormai da tempo si spende nel sociale a favore del suo quartiere, che è ad oggi la principale piazza dello spaccio della droga in Europa. “Il supermarket della droga”, come spesso è definito, il parco giochi dei drogati, che a migliaia arrivano a Scampia con sicuri auspici di acquisto facile e possibilità di consumo sul posto. Rosario è scrittore, del 2008 è il suo primo libro “Al di là della neve”, una silloge di vividi ed emozionanti racconti che disegnano senza retorica il quartiere in cui è nato e cresciuto. Ma è anche attore: ha fondato Vo. Di. Sca. (Voci Di Scampia), compagnia teatrale tesa a costruire un’alternativa di sfogo per i ragazzi del luogo, che non può non passare anche attraverso l’arte e la bellezza. Dopo averla acquistata, ha anche trasferito a Scampia la sede della casa editrice Marotta & Cafiero, dalla storica sede di Posillipo: anche questo, nell’ottica di favorire la pubblicazione di libri di utilità sociale e pedagogica con progetti innovativi, nati dal basso e a basso costo. Ma partecipa anche alla gestione della Scuola Calcio Scampia: il suo obiettivo è infatti quello di creare l’alternativa alla camorra. Creare occupazione, aggregazione sociale, occasioni di incontro: per poter mostrare ai ragazzi del suo quartiere che non esiste solo la camorra.
A Rosario non piace parlare di legalità, perché ritiene a ragione che in quartiere con i problemi sociali di Scampia sia letteralmente inutile, se prima non si parla di lavoro. Il cancro di Scampia è la disoccupazione, che porta sempre nuove leve alla camorra, e la mancanza di ogni forma di servizio e vita sociale: per centomila persone, circa quaranta esercizi commerciali e neanche uno sportello bancomat. Scampia è stata trasformata in un ghetto sociale, violentata dalla droga e dalla camorra, ma anche dai giornali e dal cemento. Da un piano urbanistico folle, che ha creato un quartiere di ex novo, negli anni ottanta del post terremoto, quando serviva sistemare gli sfollati: sono stati così stipati in tante casse di cemento, emblematiche ma non uniche sono le famigerate “Vele”, costruite in mezzo al nulla.
Ma Scampia è ormai rovinata anche dai pregiudizi, da un’immagine distorta che ce ne viene data da giornali e tv, che hanno tutto l’interesse a farne una sorta di “far west” italiano, regno della criminalità incontrastata, che vale la pena di essere visitato solo per contare i morti e sbattere il mostro in prima pagina. Un’immagine comoda e semplicistica, ma falsa, perché Scampia è anche altro. “Ragazzi attenti in questa piazza che sui palazzi intorno ci sono i cecchini” ci accoglie con una risata, Rosario, proprio a sottolineare i pregiudizi con cui, lo sa, anche noi siamo arrivati. Ma dobbiamo liberarcene, e a questo bastano le sue parole, i racconti che ci fa delle sue attività nel quartiere, e la passeggiata che ci fa fare per Viale della Resistenza e poi nelle splendida Villa Comunale. E’ il parco di Scampia, enorme e lussureggiante: palme, portici di glicini, giochi per bambini, con in fondo un grande lago prosciugato sormontato da una collina. Da lì, si domina tutto il quartiere, e si vede il Vesuvio. A fianco, le Vele. Rosario indica un luogo: “Lì si mettono sempre i tg per fare le inquadrature delle Vele quando ci sono morti di Camorra: mai nessuno che abbia girato la telecamera per far vedere questo parco meraviglioso”. Già, nessuno. Ed è un peccato, perché la possibilità del riscatto c’è: a fianco delle vele stanno anche costruendo la nuova facoltà di Farmacia, si spera riesca a portare dei giovani da fuori nel quartiere.
Ma Scampia è anche il quartiere più verde di Napoli, e il più giovane d’Italia: e, come ci spiega Rosario, la microcriminalità è molto inferiore rispetto al centro storico. Qui, la camorra vuole fare i suoi traffici con calma, senza attirare l’attenzione: per questo non c’è da aver paura, le rapine chiamerebbero troppa polizia. Non che sia poi tanto rassicurante, ma è anche questo un mito da sfatare. Salutiamo Rosario con affetto, con la promessa di mantenere i contatti e rivederci presto: per di più, a Trieste il presidio di Libera nato recentemente è intitolato ad Antonio Landieri, cugino di Rosario ucciso alcuni anni fa a Scampia, vittima innocente della camorra. Il legame con Scampia, anche per questo, continuerà: ma anche perché la presenza di persone come Rosario dà coraggio e forza a tutti noi.
Per la sera ci aspettano per cena alla festa di chiusura dei campi di volontariato di Libera sui beni confiscati del casertano, a Sessa Aurunica, in un bene confiscato che ospita una comunità per ragazzi con problemi psichici: anche qui, il responsabile Ciro ci racconta una storia simile a quella di Elena, di situazioni difficili, ma di volontari che resistono. Storie di una Campania che non molla, e che cerca di fare rete di unire le forze per combattere insieme contro un nemico forte e sempre presente e che, a volte, è il tuo stesso vicino di casa.
Dizionario della resistenza
FUTURO
Il futuro arriva presto. Presto diventerà l’oggi. Il presente. Vivere il presente, quindi, significa immaginare il futuro. Anticiparlo. Vivere il futuro nel presente uguale a profezia. Avremo il coraggio laico di accogliere la profezia investendo nel presente per il domani? I giovani, oggi, avranno la forza di essere profeti per il domani? Il loro futur
o? L’irraggiungibile utopia sarà la meta a cui tendere? Avrà la capacità di smuovere le coscienze e di illuminare le menti migliori? Non avremmo il coraggio di porre tali interrogativi se una profonda fiducia e uno sguardo lontano non ispirassero le nostre giornate. Così, senza presunzioni.
Don Mario Vatta
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