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Francesco Pesce, la latitanza, gli affari e le inchieste

Di Anna Foti il . Calabria

Era sfuggito alle forze dell’ordine ricorrendo alla latitanza all’ultimo minuto, nell’aprile 2010 nell’ambito dell’operazione ‘All Inside’ mirata alla cosca egemone di Rosarno, i Pesce. Si tratta di Francesco Pesce, classe 1978 nato a Gioia Tauro, sorpreso nel suo bunker di 40 metri quadri, all’interno di un manufatto interrato, con ogni confort e un sofisticato sistema di video sorveglianza presso il deposito giudiziario DemolSud, ubicato sulla via provinciale per Polistena nel comune di Rosarno, di Pronestì Antonio, arrestato per favoreggiamento aggravato.

 Un tassello ulteriore alle due operazioni, ‘Alla inside 1’ e ‘All inside 2’, nei confronti di decine di affiliati con accuse varie, associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi, intestazione fittizia di beni e corruzione aggravata. Fondamentale l’apporto di intercettazioni telefoniche ed ambientali anche di altre inchieste, come quella Reale, asse strategico per l’operato investigativo di questo frangente, oltre che dell’attività di perlustrazione e perquisizione. Acquisita anche documentazione interessante per la prosecuzione delle indagini e al lavoro i militari della Sis (Servizi di Investigazione e Sicurezza), anche per il recupero di altro materiale cartaceo che Francesco Pesce ha tentato di bruciare, innescando un incendio proprio prima dell’ingresso dei militari nel bunker. 

La restrizione della libertà di Francesco Pesce, in ragione di un fermo tramutato in ordinanza di custodia cautelare in carcere risalente al 2010, è stato eseguita dal Reparto Operativo Specializzato, dal Reparto investigativo e dai Cacciatori del comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, dove per altro si è svolta la conferenza stampa di illustrazione dei dettagli dell’operazione che ha posto fine alla latitanza di ‘Cicciu u Testuni’, come è noto Francesco Pesce. Presenti, tra gli altri, il procuratore capo Giuseppe Pignatone, il vice comandante del Ros  il generale Mario Parente, ed il comando del reparto operativo, colonnello Carlo Pieroni.  Giovane ma potente, alla guida dell’attività  di estorsione, rigorosamente eseguita da manovalanza e di cui lui era il regista indiscusso, la cassa Francesco Pesce avrebbe svolto un ruolo di capoclan i cui mantenimento è forse costato caro durante la latitanza. La necessità di presenza sul luogo e di cura dei contatti che esso ha richiesto, infatti secondo gli inquirenti, hanno rappresentato errori che ne hanno favorito la cattura.

Il padre Antonino in persona, in carcere dal 1993, ne avrebbe suggellato la successione. Un ruolo che avrebbe prodotto anche qualche tensione, dopo la scarcerazione dello zio Vincenzo, fratello di Antonino, messa poi subito tacere.  Francesco Pesce, già noto anche nell’operazione ‘All Clean’ condotta anche dalla Guardia di finanza e che ha condotto al sequestro di beni per oltre 200 milioni di euro, era uno dei latitanti di ultima generazione, ha spiegato Pignatone, il secondo ad essere arrestato, dopo Cosimo Alvaro, arrestato nella Piana dalla Polizia di Stato, dei quattro nuovi latitanti, già inseriti nella lista dei più pericolosi. Gli altri due sono Rocco Aquino, della Ionica, e Domenico Condello di Reggio Calabria.

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