Lumia: abbiamo difeso l’esistente
Il “Codice antimafia” arriva dopo anni di incessanti e ripetute richieste che hanno attraversato la storia recente della lotta alla mafia. Un provvedimento indispensabile per coordinare e dare sistematicità al variegato corpus di norme antimafia. Insomma, un’opportunità straordinaria per far fare un salto di qualità alle nostre istituzioni e dare agli operatori uno strumento efficiente in grado di ottenere risultati senza precedenti. Purtroppo anche questa opportunità si è trasformata in una grande occasione perduta, anzi per alcuni versi in un’occasione rovinosa per la stessa lotta alle mafie. Un coro unanime di voci autorevoli del mondo della società civile e delle istituzioni – Libera, Centro Pio La Torre, Dna, Procure antimafia – ha denunciato i limiti e i pericoli di una proposta del governo che mette in pericolo anche le conquiste più elementari dell’antimafia come il 416 bis, l’articolo del nostro codice a fondamento della legislazione antimafia, che riconosce il reato di associazione mafiosa, ma anche il settore dell’aggressione ai patrimoni.
A queste critiche bisogna aggiungere il giudizio negativo, per quanto non esplicito e chiaro come avrebbe dovuto essere, della Commissione Antimafia. E ancora il parere delle Commissioni di Camera e Senato che quasi all’unanimità avevano posto ben 49 condizioni di modifica radicale al testo proposto dal governo. Il governo ancora una volta è stato sordo, limitandosi a recepire solo 11 condizioni e voltando le spalle agli operatori antimafia, alla Commissione Antimafia e allo stesso Parlamento. Di fronte ad un atteggiamento simile siamo riusciti a ridurre il danno: sono stati cancellati i 10 articoli che volevano riorganizzare e ridefinire il 416 bis. Un istituto normativo prezioso, insieme all’aggressione ai patrimoni, voluto da Pio La Torre e al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e approvato dal Parlamento solo dopo il loro barbaro assassinio, secondo quel limite maledetto dell’antimafia del giorno dopo. Sul primo punto, quindi, abbiamo scampato un grosso pericolo, mentre è inaccettabile il persistere del termine di 18 mesi per giungere alla confisca dei beni sequestrati ai boss, nonostante le proroghe.
Si è trattato, pertanto, di difendere l’esistente, senza poter fare passi in avanti come ad esempio sull’incandidabilità delle persone colluse e sul 416 ter, con l’estensione del reato di voto di scambio dal denaro ad altre utilità. Nulla, ancora, per migliorare la normativa sui testimoni e sui collaboratori di giustizia, sull’obbligatorietà della denuncia da parte degli operatori economici che subiscono il racket delle estorsioni, sulla lotta al grande riciclaggio internazionale e sull’introduzione del reato di auto riciclaggio di cui il nostro ordinamento è sprovvisto, sull’aumento delle pene per tutti i reati di stampo mafioso. Ecco perché sarebbe opportuno che il governo facesse un passo indietro per evitare che il Codice si trasformi definitivamente in un’occasione mancata e dannosa per la lotta alle mafie
* Commissione parlamentare antimafia
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