Salento: usura all’ombra della Scu
Una vera holding finanziaria gestita in maniera illecita quella dei tre fratelli salentini: Antonio, Damiano e Massimo Caroppo. Quando gli imprenditori si trovavano in difficoltà finanziarie loro erano pronti ad offrire il loro “aiuto”. Aiuto che consisteva in prestiti usurai a tassi d’interesse mensili pari al 10% (che arrivavano a superare il 120% annuo). Tre fratelli assai noti alle forze dell’ordine, pronti a minacciare le loro vittime con metodi mafiosi quando non erano in grado di pagare, nel tentativo di estorcere i loro automezzi, se non addirittura l’intera attività.
A parte Massimo, che risulta avere in gestione una rivendita di giornali, gli altri due risultano invece disoccupati, e, particolare importante, Antonio è anche un libero vigilato. I tre sono fratelli di Mario Caroppo, gommista, che fu assassinato a bordo della sua auto su ordine dell’allora capo della Sacra Corona leccese, Filippo Cerfeda, oggi collaboratore di giustizia. L’esecuzione avvenne nel maggio del 2002, davanti ad un ristorante del centro, dove la vittima avrebbe dovuto cenare pare in occasione di un incontro di mala fissato per discutere della spartizione del territorio e della gestione dei traffici illeciti.
«Su quella vettura che venne crivellata di colpi – ha affermato il Procuratore capo Cataldo Motta che in conferenza stampa ha presentato l’esito dell’operazione – c’era anche Damiano Caroppo, che riuscì però a salvarsi». Nell’incontro con i giornalisti, accanto al capo della Procura, c’erano anche il sostituto Alessio Coccioli, titolare dell’inchiesta, il vice comandante provinciale, il tenente colonnello Fernando Sicuro, ed il capitano Biagio Marro, che con i suoi uomini del Nucleo investigativo del Reparto operativo, ha condotto le indagini.
I tre sono stati arrestati dai carabinieri in esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare firmate dal giudice delle indagini preliminari, Cinzia Vergine. Sembra che alla vista dei militari nessuno ha opposto resistenza, e si sono fatti accompagnare dapprima negli uffici dell’Arma e subito dopo nel carcere di Borgo San Nicola. Pesanti le accuse: attività finanziaria abusiva, usura ed estorsione continuata, con l’aggravante del metodo mafioso.
«Guarda che stai parlando con un Caroppo», così i tre usavano presentarsi alle loro vittime. Va precisato che al momento dell’arresto e dopo le perquisizioni delle loro abitazioni non sono state rinvenute armi. Armi che gli investigatori non hanno visto neppure durante le indagini, e di cui non c’è traccia neppure nelle intercettazioni telefoniche e ambientali cui i tre e gli imprenditori usurati sono stati sottoposti. Da sottolineare che nelle loro abitazioni è stata sequestrata documentazione cartacea considerata rilevante per il prosieguo delle indagini.
Indagini che dovrebbero continuare più che per individuare eventuali complici, che sembrano non esserci, per accertare quanti e quali sono gli imprenditori finiti nel vortice dell’usura. Le vittime che hanno consentito ai carabinieri di portare a termine l’operazione con successo, denunciandoli, per il momento sono sei. Ma gli uomini del capitano Marro sono convinti che sono molte di più, se si considera che, stando sempre alle indagini, l’attività usuraia i tre l’avrebbero cominciata nel 2009.
Il procuratore Motta ha sottolineato l’importanza delle intercettazioni, che si sono rivelate ancora una volta fondamentali per il successo delle indagini, evidenziando come la politica abbia accantonato il tentativo di distruggerne l’uso.
«Un’indagine che – ha commentato il procuratore Capo – non è sull’usura della porta accanto, del vicino di casa che presta denaro il cui percorso è difficilmente accertabile, bensì di elementi vicini agli ambienti della criminalità organizzata tradizionale». Infatti, i fratelli Caroppo, sono indicati da numerosi collaboratori di giustizia come i referenti di un proprio gruppo criminale, molto attivo soprattutto nel settore del traffico e spaccio delle sostanze stupefacenti. «Quello della lotta all’usura – conclude Cataldo Motta – è uno dei fronti che maggiormente vede impegnata la Dda nelle tre province, specie in un periodo di grave crisi economica come l’attuale. Reati su cui è difficile indagare: nel 2010 le denunce sono state meno di dieci». Gli arrestati sono difesi dagli avvocati Luigi e Roberto Rella.
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