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Salento:condanne pesanti per il clan “Scaramau”

Di Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

Era il 15 luglio 2010 quando gli agenti della squadra mobile di Lecce, su ordinanza del gip Antonio Del Coco, eseguivano  l’operazione “Remetior”. Secondo l’accusa il 42enne di Surbo Salvatore Caramuscio, detto “Scaramau”, avrebbe fondato la nuova Scu, tessendo una ragnatela di rapporti criminali nei sei mesi di latitanza. A carico del boss gravava una condanna per omicidio volontario ed associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Nel settembre 2008 era tornato libero grazie a un provvedimento dei giudici de L’Aquila emesso, secondo la procura salentina, a causa di un errore nel calcolo della scadenza dei termini di custodia cautelare.  Una volta fuori dal carcere il boss avrebbe ripreso il comando del clan dedito a estorsioni, usura, gestioni di bische clandestine, traffico di droga. 

A poco più  di un anno dall’operazione “Remetior”, si chiude con 148 anni di carcere l’inchiesta condotta dai poliziotti della Squadra Mobile sul ritorno in grande stile, lo stile mafioso, del boss Salvatore Caramuscio. Per il momento è stata pronunciata la sentenza per i quindici imputati che hanno scelto il rito abbreviato: dopo otto ore di camera di consiglio, sono stati tutti condannati dal giudice per l’udienza preliminare Nicola Lariccia. La somma complessiva delle pene inflitta al sodalizio criminale non si allontana molto dai 172 anni invocati dal pubblico ministero Guglielmo Cataldi. “Scaramau” e la moglie Simona Sallustio, hanno invece preferito difendersi nel processo cominciato lo scorso 22 giugno davanti ai giudici della prima sezione penale. 

Pesanti le accuse: mafia, droga sotto forma di spaccio e di associazione costituita per fare giungere i carichi e distribuirli, traffico di armi. La condanna più severa è stata inferta all’uomo di maggior fiducia di Caramuscio, quel Giosuè Primiceri di Trepuzzi, arrestato a Bari il 15 aprile di due anni fa con chili di hashish: 16 anni, contro i 18 chiesti dal pubblico ministero Cataldi, comprensivi anche dei sei anni presi dalla Corte d’Appello di Bari. Mafia l’imputazione più grave per lui, con l’aggravante di essere stato il referente di Caramuscio durante la sua latitanza che avrebbe agevolato non solo trovandogli case e locali in cui nascondersi, ma anche consegnandoli il denaro frutto della vendita della droga, del gioco d’azzardo, delle estorsioni e del recupero dei crediti.  Mano pesante del giudice anche nei confronti di Alessandro Ancora di Surbo, di Gianluca Pepe di Lecce, conosciuto anche con il soprannome di “Pesciolino” (mafia, associazione finalizzata al traffico di droga e spaccio, per entrambi) e di Pietro Rampino di Trepuzzi (traffico e spaccio di droga): 13 anni e mezzo a testa contro i 12, i 18 e gli 8 invocati rispettivamente dall’accusa. Dodici anni, invece, per Leandro Luggeri di Trepuzzi (12 per l’accusa) accusato di mafia e traffico di droga, e anche di fornire denaro alle famiglie dei detenuti. Per le stesse accuse fatte a Luggeri, sono stati inflitti undici anni e otto mesi a Luca Spagnolo di Lecce (12 per il pm). Otto anni e due mesi per Antonio Caramuscio, fratello di Salvatore, di Surbo (dieci per il pm) per mafia e droga. Condannati a otto anni Cosimo Miglietta, di Trepuzzi (12 per il pm), Gianni Dolce di Lizzanello (10 per il pm) e Vincenzo Caretto di Trepuzzi (12 per il pm). Sette anni e nove mesi per Riccardo Buscicchio di Lecce (nove per il pm). Sette anni e mezzo per Marco Malinconico di Lecce (12 per il pm), e per Stefano Elia di Torchiarolo (10 per il pm). Per chiudere quattro anni e otto mesi a Stefano Ciurlia di Lecce (9 per il pm).  Bisognerà  aspettare tre mesi per le motivazioni della sentenza. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Giancarlo Dei Lazzaretti, Antonio Savoia, Luigi Rella, Ladislao Massari, Antonio Degli Atti, Donata Perrone, Francesco Cascione, Pantaleo Cannoletta, Giovanni e Gabriele Valentini, Fabio Lazzari, Paola Vestito ed Alessandro Stomeo.

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