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Giuseppe D’Avanzo e quel suo ultimo viaggio a Trapani

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Eccolo, finalmente. Dopo tanti annunci eccolo quel mercoledì di un paio di settimane addietro appena all’ingresso del Palazzo di Giustizia di Trapani. Eccolo Peppe D’Avanzo, con lui Salvo Palazzolo, tutte e due firme di Repubblica. Salvo mi vede, mi saluta, mi chiama per nome, lui, Peppe, con quei baffoni e un sorriso, si gira e mi chiede se sono “Rino Giacalone” (sic!), rispondo di si. Poi riprende-riprendiamo a parlare con Chicca Roveri, la compagna di Mauro Rostagno, il sociologo e giornalista ucciso dalla mafia e non è detto, forse, con la complicità di qualcuno dei “suoi” amici dei quali Peppe con Bolzoni scrisse un libro contestato ma non del tutto infondato.

 C’era stata la parte dedicata a Chicca Roveri che in quella indagine sul delitto “tra amici” era finita in carcere, accusata di avere aiutato i killer del compagno. Adesso eccoli lì tutti e due che si parlano, si confrontano, Peppe e Chicca, io e Salvo siamo dietro di loro, io sicuramente contento di quello del quale sono testimone, anche Salvo che come me quella indagine, quella sulla “pista interna” abbiamo avuto modo di conoscerla bene, e sappiamo che il lavoro investigativo svolto non era proprio tutto da buttare via e se c’è qualcosa di poco chiaro in quel delitto, sulle trame, sulle complicità garantite alla mafia, è stato anche grazie a quell’inchiesta firmata da Procura di Trapani e Digos, che è emerso fuori e va sempre di più emergendo. Il “fiuto” di D’Avanzo lo ha fatto arrivare all’udienza clou del processo per il delitto Rostagno, l’ultima udienza davvero importante prima della pausa estiva scattata dalla fine di luglio.

Davanti ai suoi occhi e a quelli degli altri presenti a quell’udienza si è materializzato forse il faldone di carte più importante, quello degli appunti di Mauro Rostagno a proposito di massoneria, traffici di armi, c’è la relazione aggiornata dei carabinieri di oggi che dai loro archivi hanno tirato fuori gli interrogatori fatti da Rostagno a proposito di logge massoniche segrete presenti a Trapani, verbali che erano finiti in altri faldoni e nemmeno in copia allegati a quelli sul delitto, come se nessuno se ne fosse ricordato mai. Queste furono le notizie del giorno di quell’udienza, D’Avanzo e Palazzolo scrissero un reportage che non aveva nulla di eccezionale rispetto al contenuto, ciò che hanno scritto non è stato altro che quello che si scrive da qualche tempo, certo adesso sono saltate fuori le carte che si sapevano esistevano e dovevano trovarsi da qualche parte, ma l’eccezionalità ci fu lo stesso, nelle parole, nelle espressioni che quella pagina di Repubblica contenevano, D’Avanzo aveva ripreso il filo delle indagini, non c’erano fili che si erano spezzati, ma che dovevano essere allungati, verso la verità di quell’omicidio antico di 23 anni e che la mafia a tutti i costi voleva che andasse in archivio e se proprio doveva arrivare a dibattimento doveva essere per tutti un delitto per corna, così aveva deciso il vero burattinaio degli intrighi trapanesi di Cosa nostra, il padrino di Mazara del Vallo, don Mariano Agate.

Quando l’udienza finì ci siamo salutati con un arrivederci, “ci sarà da venire di nuovo quando verrà sentito l’ex capo della Mobile Linares che ha ripreso in mano l’indagine arrivando ai mafiosi alla sbarra, Vincenzo Virga e Vito Mazzara, il delitto Rostagno – conveniamo – è la drammatica conseguenza di quello che succedeva all’epoca a Trapani, in quel 1988 quando la mafia diventava un’altra cosa, impresa e mafia cominciavano a diventare un tutt’uno e Rostagno non era più così con le spalle coperte come lo era stato fino ad allora, aveva cominciato a respirare l’isolamento, aveva ascoltato inviti alla prudenza nel fare informazione, aveva saputo che da Palermo qualcuno aveva avvicinato il suo amico ed editore di Rtc, Puccio Bulgarella, era diventato vulnerabile, in una terra dove il ritrovarsi soli non è una bella cosa, ieri come oggi”. Ci siamo guardati e mentre lui restava calato sul suo Ipad (mi sembra che aveva uno di questi infernali strumenti della comunicazione informatica) ci siamo salutati, arrivederci, anche con Salvo con il quale vedersi è sempre un piacere, ma quel giorno il piacere più grande era stato conoscere D’Avanzo.

L’arrivederci resta, ma per il “dopo” che si dice ci riserva la vita.  Ricordare Peppe D’Avanzo solo per come ha seguito il caso Rostagno  non è sufficiente e non basta a capire la pasta del cronista. Ma è dovuto perché quel reportage su quell’udienza resta probabilmente l’ultimo grande pezzo da lui firmato. Giornalismo e impegno sociale, messi insieme per tentare di cambiare le cose, come non dirlo dinanzi per esempio alle dieci domande dieci rivolte al “cavaliere” e che sono rimaste senza risposta, come non riconoscerlo dinanzi ai reportage firmati da Peppe D’Avanzo in giro per il mondo.Giornalismo e ricerca della verità, costi quel che costi.

Un pezzo pubblicato dal Fatto Quotidiano e rilanciato dal sito web Malitalia, ce lo ricorda così: “Quando nel 1984 saltò in aria il rapido 904 e dietro quell’ennesima strage italiana cominciò ad affiorare l’alleanza tra fascisti, camorra, mafia e gli immancabili servizi deviati, Giuseppe D’Avanzo era già a “La Repubblica”. Ruppe le scatole a magistrati, poliziotti, raccolse notizie, mise insieme indizi, scoprì particolari e scrisse. E per questo finì in galera insieme ad un altro giovane cronista, Franco Di Mare, “L’Unità”. Peppe passò il Natale del 2005 nel carcere di Carinola, in isolamento, accusato di falsa testimonianza e reticenza. Non aveva voluto rivelare la fonte, come si dice in gergo. Scarcerato due giorni dopo Natale, disse poche parole: “Il giudice spesso non ha la consapevolezza dello scenario in cui un cronista lavora a Napoli”. Poco più che cinquantenne aveva fatto tantissime cose per le quali di anni ne servono molti di più, forse bruciare le tappe non serve quando deve finire proprio in questa maniera. Un’altra storia di vita che si ferma, come poche settimane addietro è toccato a quella di Roberto Morrione, mai come adesso mi sento di dire che sono stati i migliori e i giusti che se ne sono andati e che il nostro mondo, la nostra terra, la nostra professione, si sono impoveriti ancora di più.

Restano, restiamo, tante comparse, pochi protagonisti. La cosa che oggi mi piace immaginare è che davvero ci possa essere una vita dopo questa, e che Peppe e Mauro, l’uno con i baffoni l’altro con la barba, si ritrovino oggi faccia a faccia, e con loro Roberto che sorride perché sta mettendo su la migliore redazione di cronaca mai diretta prima.

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