Caro Roberto
Stavamo pranzando, a casa.
Non sapevamo ancora che negli ultimi tre anni avremmo affiancato a tutte le altre una battaglia per la vita, la tua vita.
Stavi seduto a tavola, vicino a me ed io, guardandoti armeggiare pericolosamente con sughi e salse, dissi: altro che cavaliere senza macchia e senza paura, tu sei il cavaliere senza paura della macchia!.
Ti piacque molto, ne ridemmo insieme e me lo ricordavi poi con fierezza ogni volta che le tue maniche finivano, immancabilmente, in qualche piatto. Perché tu indossavi la giacca anche in casa. A ripensarci ora, capisco che quel senza paura della macchia era più ampio. Ti buttavi in ogni battaglia che consideravi degna di essere combattuta non perché impulsivo, anzi. Semplicemente perché “va fatta”. Senza considerare se ciò ti avrebbe causato problemi, disagi, incomprensioni. Senza paura di poter sbagliare, di metterti in discussione, di macchiarti. Sapevi dire ‘ho sbagliato, non avevo capito, mi dispiace’.
Non sei mai salito in cattedra nemmeno con me, quando ti chiedevo di parlarmi dei misteri italiani degli anni ‘70-‘80, quando ero ancora una ragazzina e tu mitico capo-cronaca del TG1. Non davi nulla per scontato. Ti mettevi a discutere della situazione politica con il tecnico che, girando per casa, avevi sentito imprecare contro il governo. E lo facevi con lo stesso impegno con cui ne avresti ragionato con Beppe, tuo specchio di confronto su questi argomenti. Tra noi il discorso passava continuamente dal caso Moro al “è stagione di carciofi?”. I tuoi ragionamenti lunghi, circostanziati, rigorosi erano invece negli ultimi anni quasi sempre sulla decadenza politica, culturale e soprattutto morale del Paese.
E inevitabilmente si finiva col parlare di Libera, degli studenti di giornalismo e di Libera Informazione. Ti dava speranza constatare come crescevano velocemente i ragazzi della redazione. Dalla grafica sempre migliore delle newsletter di Giacomo, all’insostituibilità di Gaetano, alla sbalorditiva analisi interna presentata da Norma a gennaio, fino alla consapevolezza della spalla competente che ti affiancava in Lorenzo. Sapevi di aver puntato sui cavalli giusti, ne avevi continui riscontri e ne eri fiero.
Ora avverto, avvertiamo un vuoto pauroso, banale dirlo. Ma ci hai lasciato talmente tanto da fare e ci hai mostrato così chiaramente con che spirito va affrontato e quanto ciò sia importante, che non ci resta altro che rimboccarci le maniche, tutti. Ognuno per ciò che ci compete. Senza paura di macchiarci.
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