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Niscemi, operazione “Para bellum”

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Era il 6 novembre del 1996, nelle campagne di Acate, a cavallo fra le provincie di Ragusa e Caltanissetta, diversi colpi di pistola calibro 7,65 colpivano alle spalle Alfredo Campisi, lasciandolo senza vita, e ferivano gravemente Giuliano Chiavetta. A distanza di quindici anni da quell’omicidio, con l’operazione “Para Bellum”, gli uomini della squadra mobile di Caltanissetta, coadiuvati dagli agenti del commissariato di polizia di Niscemi, hanno individuato mandanti ed esecutori materiali. Ad uccidere il niscemese Alfredo Campisi, infatti, sarebbero stati Antonino Pitrolo e Giuseppe Buzzone, entrambi affiliati al clan Madonia – Emmanuello.
La spedizione sarebbe scattata dagli ordini provenienti dal vertice di cosa nostra gelese.

Provvedimenti di custodia cautelare in carcere sono stati emessi nei confronti del boss Alessandro Emmanuello, già sottoposto al regime del 41 bis nel penitenziario di Viterbo, di Giuseppe Amedeo Arcerito, Salvatore Di Pasquale, Francesco Amato, Sebastiano Montalto e Rosario Lombardo.
L’indagine, inoltre, si è estesa anche ad Emanuele Greco e ai collaboratori di giustizia gelesi Carmelo Massimo Billizzi, Fortunato Ferracane, Nunzio Licata ed Emanuele Celona.

Stando all’esito dell’inchiesta, il giovane Alfredo Campisi sarebbe stato ucciso per impedire la sua scalata ai vertici di cosa nostra nissena: la vittima dell’agguato, già dal 1994, aveva organizzato un gruppo, composto prevalentemente da minorenni, in grado di sostenere tutte le richieste formulate dal capo e acquisire sempre più visibilità nell’area ricompresa fra Niscemi e Gela. Prima dell’agguato mortale del 6 novembre di quindici anni fa, Campisi era stato preso di mira in due occasioni.

Nei mesi precedenti, un commando aveva cercato di freddarlo, in un caso, sulla piazza centrale di Niscemi ma il passaggio di una volante dei carabinieri fece sfumare l’azione e, in un altro, all’interno del suo laboratorio di marmi, blitz reso vano dall’immediata fuga dello stesso Campisi. A volerne la morte, secondo i magistrati della Dda di Catania che hanno coordinato l’inchiesta, i fratelli Daniele e Alessandro Emmanuello, storici capi del gruppo di cosa nostra gelese legato a quello di Niscemi: gli ordini, così, vennero trasmessi al boss niscemese Antonino Pitrolo, oggi collaboratore di giustizia.

Quest’ultimo ha già ammesso le sue responsabilità nell’uccisione di Alfredo Campisi: tanto da puntare il dito anche in direzione di Giuseppe Buzzone, arrestato nel settembre dello scorso anno con l’accusa di aver trucidato l’astro nascente della mafia di Niscemi. Tra i fermati, anche importanti nomi del clan di cosa nostra della cittadina nissena, ancora in libertà. Gli inquirenti attribuiscono un notevole valore al fermo di Giuseppe Amedeo Arcerito, in passato condannato per mafia e sfuggito ad un agguato nel 1989, che sarebbe stato uno dei più attenti custodi della latitanza del boss gelese Daniele Emmanuello, e a quello di Sebastiano Montalto, accusato anche dell’omicidio dell’ennese Giuseppe Mililli.

Gli arresti compiuti dagli agenti della squadra mobile di Caltanissetta e da quelli del commissariato di Niscemi e disposti dal gip catanese Daniela Monaco Crea, sono stati favoriti dalle dichiarazioni rilasciate da collaboratori di giustizia in passato capaci di reggere le sorti della mafia sull’asse Gela – Niscemi, alcuni dei quali indicati negli stessi atti dell’operazione “Para Bellum”.
Rosario Cauchi

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