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In Aspromonte per ricordare le vittime della ‘ndrangheta

Di Toni Mira il . Calabria

Una lunga scia colorata sale i sentieri dell’Aspromonte. Non è un trekking, anche se l’ambiente lo meriterebbe. Querce imponenti, ruscelli freschissimi, i profumi e i colori della macchia, enormi rocce. E’, invece, una Via Crucis nella qual il dolore è trasformato in speranza. Ci sono le magliette rosse dei ragazzi che partecipano ai campi di lavoro di Libera, quella arancioni di un gruppo scout di Catanzaro, quelle bianche dei volontari dell’Arci, quelle gialle con la frase “…e se qualcuno fa qualcosa…”, indossate dalle suore di Bosco di Bovalino, guidate da suor Carolina, prima al fianco di don Pino Puglisi (la frase è sua) fino alla sua morte e oggi impegnata coi bambini della Locride. C’è tanta gente, tanti calabresi, 200 persone. Ma soprattutto ci sono loro, i familiari delle vittime della ‘ndrangheta. “I sentieri della memoria”, per ricordare Lollò Cartisano, fotografo di Bovalino, l’ultimo sequestrato dalla ‘ndrangheta.

Era il 22 luglio 1993. Non tornò mai a casa. Solo dopo 10 anni la lettera di uno dei suoi carcerieri, che chiedeva perdono ai familiari di Lollò, permise di ritrovarne il corpo. Era sepolto in uno degli angoli più belli dell’Aspromonte, Pietra Cappa, immenso monolite, 140 metri. E qui andremo. Circa un ora e mezza di cammino, punteggiato dalla stazioni del dolore e della speranza. In ognuna il ricordo di una vittima della violenza mafiosa, attraverso le parole di genitori, figli, mogli. «Siamo tanti, più delle altre volte. Ma anche loro sono qui…», commenta suor Carolina. E a chi si riferisca è chiaro. Qualcuno ha strappato il cartello che indica il sentiero e lo ha buttato in un dirupo.

Viene recuperato, appoggiato a una grande quercia. Accanto, come testimoni, i familiari delle vittime. Parla Deborah, la figlia di Lollò. «E’ importante camminare insieme. Questi morti ci chiamano, ci spingono a dire “cosa sto facendo io?”. Non bastano la solidarietà, l’indignazione. Ognuno deve fare qualcosa». Ma c’è anche un altro impegno: «Noi continuiamo a fare quello che faceva papà, a far vedere il bello della Calabria. Per essere più liberi. Buon cammino a tutti!». E allora si può partire. La prima sosta ricorda Rocco Gatto, giovane mugnaio di Gioiosa Ionica, ucciso per aver detto no al pizzo e spinto anche altri commercianti a ribellarsi. Poi Giuseppe Tizian, bancario di Bovalino. Omicidio ancora senza responsabili. Parlano il figlio Giovanni e la moglie Mara. «Oggi stiamo raccontando il vero Aspromonte, che non è terra di ‘ndrangheta ma terra bellissima. E questo è il regalo più bello che facciamo a papà».

La nuova sosta è vicino ad una fonte freschissima, all’ombra di immensi alberi secolari. «Gianluca è come se camminasse con noi», dice il papà Mario Congiusta. «Per questo oggi io cammino coi suoi bastoncini», aggiunge commosso facendo vedere i bastoncini da sci del figlio, ucciso a 32 anni, grande appassionato di sport. Lo stesso dolore che è negli occhi di mamma e papà Fava, visi calabresi, abiti neri. Si siedono, fianco a fianco come per sostenersi. Attorno, seduti a terra, decine di ragazzi ascoltano in silenzio il ricordo del loro Celestino, ammazzato ad appena 22 anni. «Voi siete il futuro. Vi raccomando, non andate mai con queste persone, andate sempre sulla retta via. E’ questo che vi posso dire da uomo umile. Tenete duro ragazzi!». Tira fuori da portafoglio la foto-santino del figlio che gira, quasi come una reliquia, di mano in mano. Mentre sale un lungo applauso.

Ed eccoci a  pietra Cappa. Ci ha accompagnato da lontano per tutto il cammino. Ora incombe sul sentiero che si fa più stretto e impervio. In fondo, in una piccola radura, una piccola croce, col nome di Lollò, la sua foto, alcuni sassi con un fiore dipinto (il fiore che sboccia anche sul cuore duro del carceriere). E’ il momento della riflessione e della preghiera. Don Luigi Ciotti indossa la stola di don Tonino Bello («La metto solo nei momenti importanti»). Ricorda che «oggi 22 luglio ricordiamo Maria Maddalena, uno delle donne che non scapparono, che seguirono Gesù fin sul Calvario, ai piedi della Croce. E che ebbero il dono dell’annuncio della Resurrezione». Anche questo, aggiunge il fondatore di Libera, «è un sepolcro e tu Mimma ¬- dice rivolgendosi alla moglie di Lollò Cartisano, sequestrata per alcune ore col marito – sei come la Maddalena. Anche qui c’è l’annuncio che Cristo è risorto. Tuo marito, tuo papà, è risorto».

Perché «Dio è con noi e questa è la speranza viva. Il nostro Dio non è il Dio della morte ma della vita. Per questo Lollò vive. Ma ci chiede di avere coraggio, di essere uomini veri e giusti, come lo era lui». Parte l’ultimo applauso. Poi in fila, ognuno si inginocchia davanti a quella piccola croce. Un gesto. Un segno. E l’impegno, come chiede ancora Deborah, «a continuare a camminare insieme, perché solo così il cammino sarà meno pesante. Questa è solo una tappa. Non fateci camminare da soli. Voi oggi ce lo avete detto, avete detto che si può cambiare, che si può dire “no” alla ‘ndrangheta e sì alla vita». La fila riprende il cammino. Resta solo Rocco, l’altro figlio di Lollò. Seduto a fianco del sepolcro del papà.

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