Corruzione: la malattia dell’Italia
Come arginare la corruzione? Una risposta concreta a quaesta domanda è stata cercata dal dibattito Stop alla corruzione, che si è svolto a Firenze durante la quarta giornata della festa nazionale di Libera. Con Lorenzo Frigerio moderatore, si sono succeduti gli interventi di Quintiliano Valenti, vicedirettore di Trasparency International, Alberto Vannucci, docente università di Pisa, Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica e Gabriele Santoni di Avviso Pubblico. I relatori hanno analizzato i costi economici e politici della corruzione, cercando di inquadrare il fenomeno nel contesto attuale della società italiana. Per Valenti la corruzione è «l’abuso di potere istituzionale per ottenere dei vantaggi privati».
Laddove viene meno il controllo democratico la corruzione fiorisce: gli effetti per il mercato sono nefasti, i costi per l’Italia salati. «La corruzione infatti ha come effetto il costo finanziario della corruzione stessa» e riduce i fondi di investimento esteri di un paese. Per combatterla più seriamente le amministrazioni pubbliche italiane dovrebbero esigere con intransigenza la rendicontazione dell’operato di dipendenti e manager troppo spesso colpevoli di condotte poco etiche. Vannucci, intervenendo, ha rimarcato come la fattispecie stessa della corruzione sia più difficile da individuare, a causa dell’inadeguatezza della legge vigente. Il corruttore non chiede un atto di ufficio ma si aspetta un «risultato», ovvero sia tutto ciò che possa comportargli un vantaggio. Si formano così tante piccole «cricche» che arrivate al potere pubblico si spartiscono i beni della collettività. Tutto questo malaffare causa la scarsa qualità nell’opera pubblica e garantisce una maggior capacità di raccolta di voti al politico della cricca.
In generale il corrotto si trova ad avere un eccedenza di denaro da investire e le banche sono lo strumento idoneo per farlo. Partendo da questo spunto Biggeri, presidente di Banca Etica, ha riflettuto sull’opacità di fondo della finanza internazionale e del Governo italiano. L’Eni e l’Enel, società di cui il ministero del Tesoro è grande azionista, detengono numerose società in paradisi fiscali. Inoltre, la pratica dei condoni qualifica l’Italia come «paese della politica dei furbetti». L’ultimo scudo fiscale non permette infatti la verifica dell’illeicità dei fondi che rientrano nel belpaese. Gabriele Santoni ha ricordato che in primis spetta alla politica combattere il fenomeno, assumendo orientamenti chiari e decisi in merito ai lavori pubblici, come indicato dalla campagna anticorruzione di Libera e Avviso pubblico. «Piuttosto che nuove grandi opere va spronata la manutenzione delle opere che ci sono».
L’incontro è terminato con un arrivederci dal 7 al 9 ottobre in occasione di Contromafie, la manifestazione che Libera terrà a Torino. Un momento ulteriore per approfondire il “virus” della corruzione ed i suoi possibili antidoti.
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