Quando mafia e Stato sono “convergenti”
«Le trattative con la mafia furono due». Così Nando dalla Chiesa, presidente onorario di Libera, ha aperto la presentazione del suo ultimo libro “La Convergenza”. Due trattative, dunque: «Una per cercare di arginare le stragi, l’altra promossa dalle nuove forze partitiche che cercavano di diventare i nuovi referenti nel panorama politico. Ma la posta in palio era la medesima: la cancellazione del 41 bis, la chiusura delle carceri di massima sicurezza, l’attenuazione delle misure di lotta alle mafie». Le convergenze, multiple, partono dagli anni 1992-1993, da tangentopoli, dalle stragi, delle trattative stato-mafia. Non complicità, ma convergenze di interessi. Dalla Chiesa parla di ciò che ha ricercato di quel periodo, ma anche della sua esperienza personale in parlamento, come dell’incarico di Sottosegretario.
Descrive un’assenza di profondità e di responsabilità di tanti, di troppi. I binari della politica erano attraversati dal “trenino dell’impunità”: «C’era – sottolinea Dalla Chiesa – il vagone dei terroristi, quello di tangentopoli, quello della mafia e quello degli amici di Sofri. Tutti avevano a cuore l’assoluzione di qualcuno e a geometria variabile appoggiavano – senza profondità e responsabilità appunto – le istanze degli altri vagoni allorché ritenessero che potessero giovare alla loro causa». In questo disegno: «Il grande assente era la legalità, ovviamente a scapito delle istituzioni». Ma la convergenza di cui Dalla Chiesa, di fronte ad un pubblico attento, tra cui anche il procuratore capo della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli, è anche di natura linguistica. Il presidente onorario di Libera, giocando con il pubblico, ha letto due dichiarazioni sul ruolo eversivo dei magistrati. Praticamente identiche, però una del premier Silvio Berlusconi, l’altra del latitante Matteo Messina Denaro.
«Le parole sono importanti» gridava il Moretti di “Palombella rossa” e Dalla Chiesa spinge il pedale proprio sul linguaggio: «Occorre avere intelligenza pronta e un linguaggio ricco» per capire, per poter contrastare le mafie. «Abbiamo già visto la corsa dei sindaci e degli amministratori pubblici che giurano che la mafia non esiste sul proprio territorio; ma pare proprio che quel che è successo anni fa al sud, non sia stato d’esempio per i colleghi del nord Italia». Per arginare questa deriva, l’autore invita alla “seminazione continua” quale ingrediente fondamentale nella lotta alle mafie e conclude con un monito: «Chiediamoci sempre, in ogni scelta, che cosa convenga a loro; chiediamoci sempre se stiamo facendo un favore alle mafie, se anche senza volerlo, stiamo dando loro una mano».
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