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Strage di via D’Amelio
19 anni dopo

Di Maurizio Torrealta il . L'analisi

La 126 di color amaranto era parcheggiata nella strada che collegava via Oreto Nuova con via Fichi d’ India , non fu difficile rubarla, ma quella macchina era in pessime condizioni : i freni non frenavano e la frizione non staccava, Gaspare Spatuzza sapeva che quella macchina doveva essere caricata di esplosivo e nel traffico di Palermo con una macchina piena di esplosivo e senza freni neanche un pazzo si sarebbe avventurato, allora , come fosse il vero proprietario di quella macchina, la portò dal meccanico a farla riparare, il meccanico si chiamava Maurizio Costa, ma il lavoro non era finito, Giuseppe Graviano gli aveva chiesto di rubare una targa anteriore ed una posteriore di un altra fiat 126 e di consegnarle il 18 di luglio, le targhe avrebbero dovute essere rubate di sabato in una autofficina o in un autosalone, in modo che la denuncia sarebbe stata ritardata di almeno un giorno. Dopo alcuni tentativi infruttuosi dalle parti di Via Messina Marina all’angolo con via Salvatore Cappello, Gaspare Spatuzza riesce a trovare una 126 in un vicolo poco distante, vicino a dei magazzini e prende le targhe con facilità perché non erano fissate con dei rivetti ma solo con delle viti. Al momento della consegna delle targhe Giuseppe Graviano gli suggerisce di andare il più possibile lontano da Palermo nella giornata di domenica. Gaspare Spatuzza non ha bisogno di fare domande.

Aveva riempito di esplosivo la macchina che avrebbe ucciso il 19 di luglio del 1992 Paolo Borsellino e la sua scorta.  Fermiamoci qui.  Questo semplice racconto sull’organizzazione della strage di via D’amelio che Gaspare Spatuzza fa al Procuratore Capo di Caltanisetta Sergio Lari, il 26 giugno del 2008, quasi undici anni dopo essere stato arrestato, è sufficiente a rendere carta straccia tutte le sentenze sulla strage di via D’Amelio vagliate ai tre livelli di giudizio. I dettagli di questo racconto sono così precisi che possono essere verificati senza difficoltà e il fatto sconvolgente è che tutti questi dettagli trovano una precisa conferma. Il semplice dettaglio delle ganasce dei freni della 126 costringe i magistrati a recuperare la carcassa della macchina esplosa e le ganasce dei freni risultano praticamente nuove. Crolla sopratutto l’impianto accusatorio dei super investigatori comandati da Arnaldo La Barbera di cui facevano parte anche Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera, gruppo che forse immeritatamente è stato chiamato “gruppo investigativo Falcone Borsellino”.

Il confronto tra Gaspare Spatuzza e Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura, gli uomini condannati in precedenza per la strage per la loro stessa ammissione di aver rubato la vettura che fu caricata di esplosivo, non lascia ombra di dubbio: Salvatore Candura scoppia a piangere ed ammette che di essersi inventato tutto su pressione dei superpoliziotti del gruppo di Arnaldo La Barbera, sono loro che sono coinvolti oggi dall’accusa di minacce, violenze ed intimidazioni nei confronti degli arrestati per costringerli a raccontare il falso. Si scava nella vita di Araldo La Barbera e si scopre che nel 1987-88 aveva collaborato con il Sisde, proprio gli anni in cui aveva cominciato ad operare a Palermo. La sua stessa entrata in Polizia è particolare: Arnaldo la Barbera lavorava per la Montedison e nel 1972 incontrò il commissario Calabresi , fu quell’incontro a convincerlo a lasciare la Montedison ed ad entrare in Polizia.  Inquadriamo quel periodo: nel 1985 erano stati uccisi da Cosa Nostra Giuseppe Montana Capo della sezione catturandi (25 luglio 85) e Nini Cassarà vice Questore e vice capo della squadra mobile di Palermo, ucciso assieme all’agente Roberto Antioca (6 agosto 1985) Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Marino Mannoia, per l’uccisione di Montana come per quella di Cassarà un ruolo fondamentale sarebbe stato svolto da un poliziotto corrotto, una talpa all’ interno della squadra mobile.

Sono gli anni della spaccatura dentro la Questura di Palermo tra la cordata di Bruno Contrada, allora capo gabinetto dell’ alto Commissariato per la lotta alla mafia e nello stesso tempo responsabile del Sisde per la Sicilia e la Sardegna e i poliziotti come Montana e Cassarà, che si erano accorti che per riuscire a catturare i latitanti , non si doveva avvertire Bruno Contrada dell’operazione in programma. Contrada oggi è condannato in modo definitivo per concorso esterno in associazione mafiosa . Contrada rimase a Palermo fino al dicembre del 1985 poi divenne responsabile del III reparto operativo del Sisde a Roma. Nel 1987 Contrada diresse una squadra di venti uomini per la ricerca dei latitanti della criminalità organizzata e del terrorismo. Due anni dopo nel giugno del 1989 avvenne il fallito attentato alla casa di Giovanni Falcone all’ Addaura, pochi mesi dopo venne ucciso l’agente di polizia Nino Agostino che oggi si suppone abbia permesso di scoprire l’attentato prima che avvenisse. Poche ore dopo l’omicidio un poliziotto entrò nella casa di Agostino e portò via dall’ armadio alcune carte che Agostino aveva nascosto , era l’ispettore di Polizia Guido Paolilli ufficialmente in servizio alla Questura di Pescara ma spesso distaccato a Palermo “a disposizione” di Arnaldo La Barbera . Scendeva a Palermo in missione segreta. Nel 2009 una microspia registrò la voce di Guido Paolilli che raccontava al figlio che in quell’ armadio Nino Agostino aveva nascosto delle carte che lui, Guido Paolilli, aveva ritrovato, portato via e poi distrutto. Viene da domandarsi quale sia stato davvero il ruolo di Arnaldo La Barbera nella sua attività a Palermo e in particolare nelle indagini su Via D’Amelio. Ha depistato o si è drammaticamente sbagliato? Ora il processo dovrà ricominciare. Ma il vero enigma della Strage di Via D’Amelio rimane: A chi serviva? A Cosa Nostra non serviva e non è servita. Proprio la sera della Strage di via D’Amelio il ministro della Giustizia Claudio Martelli, con un enorme dispiegamento di forze, decise l’immediato trasferimento nei carceri speciali dei detenuti mafiosi e l’ immediata attuazione del 41bis.

La Trattativa c’è stata e la prima richiesta del Papello è stata la revisione del maxi processo” ma la seconda era: “l’annullamento del decreto del 41 bis”. I fatti ci dimostrano che il 41 bis fu reso esecutivo esattamente dopo la Strage di via D’Amelio. Chiunque abbia organizzato la strage di Via D’amelio ha ucciso un magistrato che come Falcone aveva capito che Cosa Nostra aveva una sponda nelle istituzioni ma ha anche peggiorato le condizioni dei detenuti di Cosa Nostra. Forse si dovrebbe cominciare a prendere in esame l’ipotesi che il movente della strage in via D’Amelio, oltre alla eliminazione di una magistrato che aveva capito chi nelle istituzioni gli lavorava contro, fosse quella di creare le condizioni per una campagna terroristica destabilizzante che potesse influenzare il comportamento elettorale del paese. Se cosi fosse, è difficile pensare che il mandante di questa strage fosse Cosa Nostra, i manovali forse provenivano da Cosa Nostra, anche gli esecutori forse, ma i mandanti no. Ed è forse per questo motivo che di questa strage non si sa ancora nulla e quello che abbiamo saputo fino ad oggi era sbagliato.

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