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L’edilizia a Gela, tra crisi e abusivismo

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Nell’estate di un anno fa, il procuratore della Repubblica di Gela Lucia Lotti lanciava l’allarme abusivismo edilizio: stando al magistrato, infatti, nella città nissena era ancora decisivo il mercato illegale delle costruzioni. 70 mila euro per avere, bello e pronto, lo scheletro di un edificio in appena venti giorni. A dodici mesi di distanza, però, la realtà appare tutt’altro che mutata. «La concorrenza sleale ci mette in seria difficoltà, ci strozza – dice Giovanni Salsetta responsabile di un’importante società del settore – molti impianti di produzione del calcestruzzo applicano prezzi che definire bassi sarebbe un semplice eufemismo e, ancora adesso, non riesco a comprendere come sia possibile».

A Gela, per lavorare e rimanere competitivi all’interno di un mercato “drogato”, bisogna scendere a compromessi. «Nella maggior parte dei casi – aggiunge l’imprenditore – alcune società accettano di fornire calcestruzzo e inerti ai cantieri abusivi, messi su in assenza di qualsiasi autorizzazione». Il meccanismo, stando ad alcuni operatori del settore, sarebbe molto semplice: l’azienda fornisce anche i cantieri fuori regola, la magistratura interviene imponendo provvedimenti di sequestro ma i sigilli permangono per un limitato periodo. E, dunque, il percorso si conclude così come era iniziato: l’impianto di calcestruzzo, venuto meno il blocco giudiziario, ricomincia a lavorare con gli stessi clienti. Gli stabilimenti di produzione realizzati, oramai due anni addietro, da Salsetta soffrono proprio per la materiale impossibilità di seguire la concorrenza. «Abbiamo scelto – ammette il responsabile della “Edilponti” – di rispettare un rigido codice etico. Non serviamo i cantieri abusivi, retribuiamo i nostri dipendenti regolarmente senza far ricorso a nessuno escamotage e, di conseguenza, i nostri prezzi non possono essere bassi come quelli applicati da altre società che, evidentemente, non sono così ligie al dovere».

Per tali ragioni, quella che era sorta come un’impresa imperniata sulla nozione di legalità si è lentamente trasformata in un’ardua scalata: sette dipendenti, attualmente, lavorano presso lo stabilimento di produzione del calcestruzzo; i sei che si occupavano dell’impianto di frantumazione, invece, sono stati licenziati. A quanto pare, infatti, neanche un’importante stazione appaltante come Syndial, orbitante nella dimensione Eni, impegnata nell’opera di bonifica di un’estesa discarica di fosfogessi ha optato per gli inerti prodotti dalla “Edilponti” preferendo, anche se a prezzi superiori, quelli trasportati a Gela da società con sede in altre provincie siciliane. Ma l’edilizia stenta a marciare anche all’interno del petrolchimico gelese. «La verità – dice sempre Giovanni Salsetta – è che il lavoro nell’indotto dello stabilimento c’è ma viene appaltato ad imprese di altre regioni o altre provincie che si aggiudicano le commesse con ribassi che raggiungono anche la preoccupante soglia del 52%».

Così, le cooperative gelesi che costituiscono l’80% dell’intero indotto segnano il passo. Neanche il nuovo piano regolatore della città sembra aver apportato lo slancio richiesto da anni. Stando a diversi imprenditori, infatti, con la sovrapposizione fra vecchie e nuove planimetrie, non è più possibile individuare le aree edificabili e la confusione avrebbe, oramai, assunto il primato. «Quelle poche concessioni edilizie che vengono rilasciate – conclude Salsetta – possono giungere anche dopo uno o due anni di attesa. Piuttosto che attendere un periodo così lungo, però, molti imprenditori prendono la palla al balzo e decidono di edificare senza alcuna autorizzazione». A Gela, l’edilizia rimane un settore strategico: a qualsiasi condizione.          

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