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Faida di San Luca
la protesta delle madri

Di Gianluca Ursini il . Calabria

Antonia Giorgi, era madre di una delle vittime, Marco Marmo, colui che aveva procacciato il kalashnikov che uccise Natale Maria moglie di Giovanni, uno dei tanti dal cognome Strangio; alleati dei Nirta. I più feroci assassini della Locride, colpevoli del sangue di migliaia di calabresi che volevano alzare la testa contro gli ‘omini ‘i panza’; colpevoli di più di 200 sequestri, da soli, quasi tutti ai danni di compaesani, che al contrario loro, guadagnavano il pane col sudore. Giorgi è l’ennesima vittima indiretta del sangue che i Nirta hanno sparso sui calanchi rocciosi e sulle coste cobalto locresi; ma ciononostante, non riesce a negarsi alla cultura dell’omertà e della negazione della legge.

Con gli “sbirri, infami e cunfirenti” non si collabora, nemmeno se ti uccidono un figlio, e le divise potrebbero aiutarti ad ottenere giustizia. Ieri, prima della sentenza, ha regalato al procuratore della Dda reggina, Nicola Gratteri, un libercolo di suo pugno intitolato “Dalle origini della mia famiglia alla strage di Duisburg”. La donna ha continuato a ripetere: «Noi non c’entriamo niente con la ‘Ndrangheta, come la chiamate voi. Abbiamo sempre campato di lavoro e sudore». Forse dovrebbero raccontarla, i protagonisti della Faida combattuta per “a pila”, i quattrini,  a gente come Lollò Cartisano, fotografo in Bovalino (10 km a sud di qui) una delle ultime vittime nel 1993 dell’industria dei sequestri (un colpo alla nuca, cadavere restituito nel 2003 “dalle bestie d’Aspromonte”); industria concepita e ideata dai Nirta, Pelle, Vottari dai Morabito, Papalia, tra Platì, Natile di Careri e San Luca, i tre paesini perduti su dei pizzi, inaccessibili persino ai locresi di mare, che si perdono nel dedalo di sentieri tra monti, forre e orridi all’improvviso sul nulla.

In Bovalino al sequestro dell’ultimo rampollo Getty nacque dopo il 1975 il “quartiere Paul Getty”. Ecco il salto di qualità per le ‘Ndrine, fino ad allora dei caprari abili con la lupara. Negli anni ’80 arrivano i rifiuti nucleari e chimici da Germania, Lombardia, Veneto; si avvelena la Calabria, schizzano le statistiche dei cluster tumorali, i branchi montanari compromettono terra, mare, e futuro dei conterranei. Con quei soldi acquisteranno stock ingenti di cocaina in Colombia. Nirta, Strangio da una parte e Vottari e Pelle dall’altra cominciano a scannarsi tra il 1990 e il 1991, perché in Paese di soldi ne girano, quanti non ne hanno mai visti da generazioni. I giudici calabresi invitano a non credere al folklore a uso delle telecamere dei canali tedeschi, ieri a pattuglie.

«Pelle e Nirta si uccidevano –spiega Gratteri – per l’egemonia del territorio. Non c’è spazio per due ‘Ndrine di portata intercontinentale, in un paesino come San Luca. Egemonia non vuol dire il pizzo per poche lire, o l’appalto per il lavoro sulla statale da poche migliaia di euro. Vuol dire avere gruppi di fuoco consistenti ai propri comandi, con i quali realizzare spericolate operazioni internazionali di narcotraffico». Partite da diverse decine di milioni di euro per volta. Per questo gli ‘ndranghetisti si azzannano rabbiosi; per un osso molto succoso. E a un calabrese le grida e gli strepiti del branco rabbioso che ieri piangeva “figghjema” mio figlio, o “fratema” condannati ai ceppi, non ispirano pietà; devi averli avuti tra i piedi fin da bimbo, per capire come nella loro WeltAnShaung non esiste legge, e le donne di casa Strangio Pelle e Vottari ieri dai banchi del tribunale sputavano verso il seggio della legge, gridando: «L’ergastolo a figghjema, e a loro, bastardi! mai?». Perché per le madri di mafia, il sangue versato dei figli non può essere emendato dalle sentenze: solo il piombo dei loro Ak 47 può mondare l’onta.
 

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