Potenza, dedicato il parco a Francesco Tammone
Parco “Francesco Tammone, per trasformare la memoria in fame e sete di giustizia”. Sono passati 15 anni da quando una mano criminale ha fermato per sempre l’agente scelto della Polizia di Stato, Francesco Tammone, eppure gli occhi della sua anziana madre non smettono di piangere. Un dolore che la città di Potenza ha fatto suo e che ha deciso di trasformare in “fame e sete di giustizia”: un impegno fatto incidere sulla lapide di marmo di un parco cittadino che da oggi porta il suo nome. L’amministrazione comunale del capoluogo lucano e il coordinamento lucano di Libera, lo avevano promesso alla famiglia di Francesco lo scorso 19 marzo, quando oltre sessantamila persone invasero Potenza per la XVI Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia.
«Il sacrificio di Francesco non sarà mai dimenticato», avevano detto in quell’occasione il sindaco, Vito Santarsiero, e il responsabile di Libera in Basilicata, don Marcello Cozzi. «Quando si muore per mano criminale – ha detto don Cozzi – si ha il dovere di ricordare quella vittima innocente almeno per due motivi: per dire ai criminali che noi non dimentichiamo e che la nostra memoria si traduce con impegno quotidiano nel cercare sempre giustizia e verità; perchè il sacrificio di una vittima innocente merita di essere rispettato e di non essere messo nel dimenticatoio perché se così fosse quel sacrificio sarebbe stato inutile». Francesco Tammone fu ucciso la sera del 10 luglio 1996 nel corso di una sparatoria con un pregiudicato in via Ionio, alla periferia di Potenza: a pochi metri dal parco che oggi porta il suo nome. Quella sera in Questura arrivò la segnalazione che in un bar della città era in corso una rissa. La chiamata venne dirottata alla volante. A bordo c’erano un ispettore e Francesco Tammone che era l’autista.
Quando gli agenti giunsero sul posto videro sulla soglia del locale un noto pluripregiudicato della zona in regime di semilibertà. Quando l’ispettore si avvicinò a lui chiedendogli i documenti il pregiudicato rifiutò e si diede alla fuga. Durante l’inseguimento il pregiudicato aggredì alle spalle l’ispettore e dalla sua fondina sfilò la pistola. Con quell’arma sparò contro Tammone. Ma l’agente scelto, prima di cadere, riuscì a rispondere al fuoco e a ferire l’aggressore che fu così fermato. Tammone morì prima dell’arrivo dei soccorsi. Il 15 giugno del 1999 il suo assassino venne condannato all’ergastolo. «Ricordare la morte di Francesco Tammone – ha aggiunto don Cozzi – significa continuare a tenere la guardia alta in Basilicata, a 360 gradi, e in modo particolare sui basilischi (la famiglia mafiosa lucana, ndr) perchè non ci sembrano affatto sconfitti. Anzi, appaiono come una pianta cattiva che si fa fatica ad estirpare e mentre i “rami storici” sono in galera, abbiamo la sensazione che “nuove gemme” stiano sbocciano. Bisogna fare molta attenzione alle nuove leve, a quei giovani che cercano di emulare i loro predecessori e che non sono molto lontani dai basilischi di Potenza, di Pignola e del Vulture-melfese. Va attenzionato tutto quello che accade in queste zone così come nel Metapontino perchè anche se l’azione della magistratura ultimamente li ha messi in un angolo, la storia dei basilischi ci insegna che è una pianta malefica che stenta a morire e negare questa pericolosità, così come negare l’allarme criminalità in Basilicata, significa offendere la memoria di Francesco Tammone». «La nostra città – ha detto il primo cittadino – non vive un’emergenza criminale ma non è certo un’isola felice e occorre alzare la guardia rispetto al rischio che questa piaga, che inquina ed impedisce un sano sviluppo, si diffonda».
Francesco aveva 27 anni e da due mesi era diventato padre di una bambina. Da oggi il parco Tammone sarà il testimone muto dell’impegno del poliziotto, giunto fino all’estremo sacrificio per il rispetto della legalità.
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