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Erice: no ai souvenir della mafia

Di Rino Giacalone il . Sicilia

I volti cinematografici del “padrino”, lupare e coppole, ma anche i volti dei veri boss, i modi di dire della mafia, tutto stampato su delle magliette rigorosamente scure, o ancora le statuette di panciuti “burgisi” (gli uomini d’onore di un tempo) in abiti di velluto, coppola e fucile in spalla, tutto questo fa parte dell’offerta di souvenir che si può vedere in tanti negozi della Sicilia. I commercianti dicono che sono “articoli” che si vendono, piacciono ai turisti, spiegano che non sono souvenir che stanno dalla parte della mafia ma la sbeffeggiano, rendono ridicoli i “picciotti” ed i “boss”.

Ad Erice però con una ordinanza il sindaco, Giacomo Tranchida, ha deciso che questo genere di articoli non possono essere esposti sulla pubblica via, offendono, sostiene, la cittadina che, chissà si dimentica, è stata territorio di una pesante violenza mafiosa e oggi cerca il suo riscatto. E’ scattata però a fronte dell’ordinanza la protesta dei commercianti. Bisogna dire che faceva un certo “senso” passare per le strette viuzze dell’antico borgo medievale e sfiorare questo genere di esposizioni realizzate dai tanti piccoli negozi, magliette e gadget riguardanti la mafia ed i mafiosi messi davanti, dietro i poster del luogo, le tradizioni locali, Erice che è famosa nel mondo oltre che per essere “città della Pace” (quante volte se ne è parlato per farla diventare sede del summit dedicato al Medio Oriente), anche per le lavorazioni artigianali, ceramiche, tappeti, infine reclamizzata solo con quelle magliette di cattivo gusto. I souvenir del luogo possono essere ben altri, ispirati alla storia e alla cultura che si respirano calpestando l’antico basolato. E poi c’è la stridente realtà tra le mura del centro storico, da una parte i negozianti che propongono questi gadget come ricordo di Erice e della Sicilia, dall’altra parte uno dei negozi che Libera Terra ha aperto in Italia, e solo in poche città, dove vengono venduti i prodotti provenienti dalle terre confiscate alla mafia.

Per non parlare poi del ricordo che rischia di annebbiarsi: ad Erice, nella frazione costiera di Pizzolungo, il 2 aprile 1985 una autobomba venne fatta scoppiare al passaggio del corteo di auto dove si trovava l’allora pm della Procura di Trapani Carlo Palermo, il magistrato si salvò, furono dilaniati e fatti a pezzettini una mamma ed i suoi figlioletti che si trovavano su di un’altra auto che passava sullo stesso punto, una curva prospiciente il mare, al momento dell’esplosione. Morirono così Barbara Rizzo Asta, trentenne, ed i suoi due gemellini, Salvatore e Giuseppe di 6 anni. Al tempo l’allora sindaco di Trapani (Erice e Trapani sono di fatto uniti e costituiscono un unico territorio), Erasmo Garuccio, andò in tv a dire che la mafia a Trapani non c’era. Oggi i politici dicono che la mafia è sconfitta, si sostiene sempre, insomma, politicamente, che la mafia non c’è. Salvo che per uso commerciale.

E così il sindaco di Erice Tranchida ha sfidato i commercianti del borgo medievale, niente esposizioni riguardanti la mafia poste sulla pubblica via, vendite libere, ma con questo genere di mercanzia possono essere riempite solo le vetrine e gli scaffali interni ai negozi, non quelle che danno all’esterno. I commercianti che hanno deciso di sfilare per le stradine della vetta ericina indossando le magliette che non possono più esporre, dicono che questi sono i souvenir più gettonati, quelli che i turisti vengono a cercare, e mettere alla berlina la mafia non significa riconoscerne il potere.

Tranchida però ha deciso di non fare retromarcia, secondo lui, e non ha torto, quel genere di mercanzia provoca una pericolosa sottovalutazione del fenomeno criminale. I commercianti però davanti a questa affermazione si sono detti offesi. «Offeso dovrebbe essere il sindaco e l’amministrazione cittadina tutta – risponde Tranchida – che non si è risparmiata in energie ed iniziative per promuovere il riscatto civile e morale di Erice, magari aspettandosi in coerenza l’esposizione, promozione e vendita di una bella maglietta con le foto dei siciliani, tantissimi, che sono morti per combattere la mafia – che è una cosa seria !!! -, di Addiopizzo e similari, col chiaro intento di mandare un diverso e percettibile messaggio a turisti e visitatori che sovente in visita nel nostro territorio, a domanda ti rispondono che la cosa che più “conoscono” della Sicilia è la mafia… al punto tale da optare come miglior ricordo della loro visita culturale ad Erice, in omaggio alla sua storia, alla sua cultura, al suo ruolo geopolitico, l’acquisto di tali “particolari” souvenir da “promuovere” nei loro paesi d’origine, involontariamente contribuendo a sminuire la gravità del fenomeno mafioso (anche sotto forma ironica) ..che a lungo andare (visto che, apparentemente, non fa più morti ammazzati) ..si badi bene: paradossalmente, può arrivare a creare un alone di simpatia».

La risposta dei commercianti non si è fatta attendere, e, ironicamente, hanno detto che anche Radio Aut di Cinisi secondo Tranchida meritava di essere chiusa, perché da lì Peppino Impastato prendeva in giro la mafia. Un maldestro autogol: intanto perché Radio Aut i mafiosi riuscirono a farla chiudere, uccidendo Impastato, proprio perché la mafia veniva presa in giro, ma con i nomi e cognomi di chi ne faceva parte, le magliette e i gadget non sono, non possono mai essere, la stessa cosa di Radio Aut. «Ognuno può nella propria libertà indossare, se le ritiene consono con la propria personalità», sottolinea il sindaco di Erice Tranchida che prosegue: «Sono stato eletto dai cittadini ericini non certo per propagandare talune stupide ed “equivoche” magliette, ma per cercare di dare il meglio di me a servizio della città e degli interessi generali rappresentati, cosa che cerco di fare faticosamente ogni giorno, sempre più cercando di dare spallate ad una miriade di problemi vecchi e nuovi». Caso chiuso, le magliette “mafiose” restino dentro i negozi.

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