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Salento: la Dia sequestra i beni del “leccese”

Di Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

Gli uomini della Direzione Investigativa Antimafia di Lecce hanno sequestrato beni del valore di tre milioni e 200mila euro a Franco Miggiano, detto “il leccese”, intonacatore 65enne di Casarano. La misura di prevenzione patrimoniale è stata emessa, su proposta del direttore della Dia, generale Antonio Girone, dai giudici della prima sezione penale (presidente Stefano Sernia). A fronte di redditi dichiarati per un totale di 80mila euro negli ultimi 20 anni, il Miggiano possedeva un complesso abitativo, formalmente intestato a sua moglie, di 20mila metri quadrati sito a Casarano, recintato da un muro alto 4 metri per una lunghezza complessiva di 617 metri.

All’interno del residence vi sono unità coperte per complessivi 2000 metri quadrati e, più precisamente, due magazzini, uno di 240 e l’ altro di 320 metri quadrati, due appartamenti di circa 200, una dependance di altri 150, un magazzino di 580 metri quadrati e altri fabbricati tra cui una torretta. A questo ingente patrimonio vanno aggiunte tre abitazioni ubicate nel centro del paese.

L’evidente sproporzione fra i guadagni e il reale valore dei beni, ma anche un passato criminale di tutto rispetto che gli valse la fama di grosso spacciatore di droga, hanno consentito agli uomini della Dia di apporre i sigilli a questo impero. È la seconda volta in due anni che viene sequestrato il patrimonio di Franco Miggiano, alias “il Leccese”. Infatti, nel 2009, accadde per una parte minore rispetto a quella individuata nelle ultime indagini della Dia. Si tratta, inoltre, di un provvedimento non ancora definitivo in quanto non è stata ancora sciolta la riserva sull’opposizione discussa il 7 febbraio scorso. Il nuovo provvedimento riguarda anche quei beni, ma comprende nuovi e importanti accertamenti. In particolare, grazie a una fattiva collaborazione con la polizia tedesca, la Dia ha preso in esame anche i redditi dei figli del Miggiano, per giungere alla conclusione che non sarebbe vero, come sostenuto dalla difesa, che avrebbero inviato alla famiglia parte dei guadagni conseguiti lavorando in Germania come falegname e come muratore. Quegli introiti sarebbero bastati solo per vivere.

Dagli accertamenti sui redditi della famiglia Miggiano, si è scoperto che negli ultimi 20 anni siano stati compiuti acquisti e sostenute spese per un totale di 930mila euro, la cui origine è rimasta sconosciuta e soprattutto ingiustificata, considerato il passato di Miggiano. Basta pensare che nel 2001 è stato condannato per l’ultima volta a otto anni di reclusione per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti nel processo d’Appello dell’operazione “Viribus Unitis” contro il clan Padovano-Scarlino-Giannelli. Sempre in seguito a questo blitz era stato arrestato e condannato in primo grado anche per mafia e per associazione finalizzata. In questi processi i collaboratori di giustizia lo indicarono come affiliato a Salvatore Padovano (il boss di Gallipoli ucciso il 6 settembre 2008 dopo aver scontato la pena di 17 anni e mezzo di carcere fino a dicembre del 2006). Sembra che anche Miggiano, secondo i collaboratori di giustizia, dovesse essere ucciso perché era arrivato a controllare il mercato degli stupefacenti nella zona di Casarano scavalcando il clan.

Altre vicende giudiziarie hanno connotato la vita del “Leccese”: cinque anni e sette mesi di reclusione per contrabbando di armi nel 1980 dal Tribunale di Como; un anno e otto mesi nel 1992 per armi e droga; due anni e quattro mesi in Appello nel 1993 per una carabina e delle munizioni importate dalla Svizzera; la condanna rimediata in appello a tre anni e seimila euro del 1998 per i quasi otto chili di marijuana trasportati sul treno Lecce-Monaco di Baviera.

Le indagini condotte dalla Dia sulle disponibilità economiche ha riguardato quattro distinti periodi: dal 1988 al 1997 furono dichiarati 13mila euro a fronte di spese di acquisti di immobili ingiustificati per 469mila euro; dal 1998 al 2005 redditi conseguiti per 35mila euro e spese ingiustificate per 174500 euro; dal 2005 al 2007 spese ingiustificate per 137400 e redditi per 63mila euro; dal 2008 al 2009 31mila euro dichiarati e spese ingiustificate per 155mila euro. Secondo il Miggiano altre fonti di reddito sarebbero state la pensione della suocera, e la liquidazione ottenuta a titolo di risarcimento del danno per l’incendio di un negozio, pari a 70 milioni di vecchie lire. Per gli investigatori queste entrate non giustificano affatto il possesso di tutti quei beni. Gli immobili restano comunque nella disponibilità di Miggiano, ma saranno gestiti da un amministratore giudiziario.

L’udienza di convalida è fissata per il 22 giugno. Miggiano sarà difeso dall’avvocato Giovanni Bellisario.
«L’aggressione ai patrimoni accumulati illecitamente è per noi la chiave di volta, un sistema efficacissimo per scardinare la criminalità organizzata», ha affermato il colonnello Claudio Peciccia, capo del centro Dia di Bari che ha aggiunto: «È dimostrato che la carcerazione non è certamente lo strumento che risolve il problema».

Questo articolo è stato scritto il 19
maggio, ma è stato pubblicato soltanto oggi dopo la nomina del nuovo
direttore responsabile della testata

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