Una rivoluzione fiscale, pacifica e radicale
“Tutti concorrono alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. (art. 53 della Costituzione).
Il 23 maggio 1947 i membri dell’Assemblea Costituente nel formulare l’art. 53 della Costituzione avevano obiettivi molto chiari e precisi: “L’attuale sistema tributario è regolato dall’art. 30 dello Statuto Albertino e basato sul criterio di proporzionalità. Se poi consideriamo che le maggiori entrate provengono dalle tasse su beni e consumi, provocando una progressività a rovescio, si vede come in realtà il carico fiscale avvenga non in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo, il che costituisce una grave ingiustizia che danneggia le classi sociali meno abbienti e da correggere in sede di calcolo del reddito complessivo, netto, da quelle spese che provvedono alle loro necessità personali e a quelle dei suoi famigliari, essendo queste, spese che concorrono a formare la loro capacità contributiva, così da colpire il reddito nella sua reale misura, applicando una progressività tale che diventi la spina dorsale del nostro sistema tributario” (on. Salvatore Scoca, relatore per l’articolo 53 all’Assemblea Costituente).
A fronte di questa impostazione, che dà priorità al criterio di progressività rispetto alla tradizionale proporzionalità, alcuni parlamentari proposero una scelta ancora più radicale: “Noi abbiamo due tipi di tributi, indiretti e personali. Se noi vogliamo introdurre il principio della progressività dobbiamo arrivare al sistema tributario unico, che colpisce il solo reddito personale” (on. Epicarmo Corbino). Non si arrivò a tanto (e si noti che l’on. Corbino era un liberale…), ma si specificò che bisognava salvaguardare i più deboli: “Accettiamo il concetto della capacità contributiva, che implica le esenzioni per chi non ha il minimo indispensabile per vivere”(on. Meuccio Ruini). Di conseguenza, se la percentuale dell’IVA (imposta sui beni e sui consumi) è uguale per tutti, l’IRPEF (imposta sui redditi delle persone) dovrebbe recuperare anche la progressività perduta con l’IVA.
Analizzando l’evoluzione negli ultimi decenni delle aliquote fiscali per la tassazione dei redditi si nota chiaramente che il criterio della “progressività” della tassazione è stato progressivamente compresso, senza significative distinzioni tra coalizioni politiche di centrodestra e centrosinistra. La legge delega 825 del 1971 (in applicazione dell’art. 53 della Costituzione) prevedeva 32 aliquote, la più bassa al 10% e la più alta al 72%. Nel 1988 le aliquote applicate erano soltanto 9: la minima al 12% e la più alta al 62%. Oggi le aliquote sono ridotte a 5: la minima al 23% e quella massima al 43%. La differenza tra l’aliquota più alta e quella più bassa si è ridotta a soli 20 punti di percentuale. Da questi numeri si può capire chiaramente in quale direzione è andato il sistema fiscale italiano. Come se non bastasse, c’è chi propone di semplificare ulteriormente il sistema fiscale, introducendo soltanto due aliquote al 23 e al 33% (Berlusconi) e chi vorrebbe diminuire le tasse (progressive) sulle persone per aumentare quelle (proporzionali) sulle cose, cioè sui beni prodotti e sui consumi (Tremonti). In entrambi i casi si favorirebbero palesemente i più ricchi a scapito dei più poveri.
Infine, occorre considerare che la tassazione dei redditi è iniqua in origine. Ci sono redditi (in particolare quelli dei lavoratori dipendenti e dei pensionati) che vengono tassati in base alla consistenza effettiva, poiché si applica una trattenuta alla fonte. Per altri tipi di redditi (ad esempio quelli dei lavoratori autonomi e dei professionisti) la tassazione si basa di norma su studi di settore e redditi calcolati in modo forfettario e non nella reale quantità. Per non parlare di quei redditi che sono sottoposti ad una tassazione separata, ai quali viene applicata un’imposta in percentuale. Se aggiungiamo che anche i redditi da capitale (cioè chi investe in Borsa, in Buoni del Tesoro, ecc.) e ricavati dall’affitto di immobili usufruiscono di tasse calcolate in proporzione e con aliquote relativamente basse (dal 12,5% al 21%), è evidente come il sistema fiscale attuale sia profondamente ingiusto e abbia tradito lo spirito costituzionale. Urge una rivoluzione fiscale, tanto pacifica quanto radicale.
Per un approfondimento della tematica si può consultare il sito internet dell’Associazione Art. 53: http://sites.google.com/site/articolo53/
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