Il tuo esempio per formare una scuola di nuovi giornalisti Rai
Con Roberto Morrione è morto un uomo libero, un grande professionista del giornalismo, un comunista e un vero democratico. L’ho conosciuto davvero tanti anni fa, negli anni Settanta, ma come dirigente politico, oltre che giornalista della RAI. Mi incuteva un certo timore reverenziale, quando avevamo riunioni del PCI nella cosiddetta Zona Nord di Roma, quella dove gravitavano il Vaticano, la Balduina “nera”, le borgate abusive “rosse” e la RAI. Rigoroso, perfezionista, non faceva mai sfoggio della sua immensa cultura e della sua preparazione ideologica. Ascoltava davvero tutti e poi, da dirigente “alla Berlinguer” rispondeva a tutti. Fu quella la stagione dell’ingresso di tanti giovani che venivano da esperienze diverse dal PCI: dai Comitati di quartiere, dalle Comunità cattoliche del dissenso, dalla società civile che viveva la stagione della “Primavera romana” che portò al Campidoglio uomini nuovi come il professore di storia dell’arte Giulio Carlo Argan e il popolare dirigente comunista Luigi Petroselli. Stagione irripetibile per il PCI che cominciava a svecchiarsi, che viveva del confronto aspro tra gli “innovatori”, portatori di idee riformiste e democratiche, e i “nostalgici” del partito filosovietico.
Roberto riuscì nella sua responsabilità di dirigente a traghettare anche i più riottosi, gli “anziani”, verso le nuove idee europeiste e liberali del PCI. Ci riuscì ascoltando, ma anche con la fermezza delle sue argomentazioni. Così come riuscì a traghettare il sindacato dei giornalisti RAI da un organismo aziendale, dominato dagli apparentamenti partitici verso un sindacato “ di servizio”, autonomo, capace di parlare a tutti, inglobando le diversità culturali, in grado di progettare anche un modo di fare “Servizio pubblico” con la “S” maiuscola. Roberto era esigente sul lavoro, come in politica e nell’attività sindacale. Roberto per questo può ben definirsi un Maestro. E Dio solo sa quanto manchino oggi i maestri saggi e severi nell’attività politica e nella professione giornalistica! Quando gli chiesi un consiglio se continuare a fare politica nel PCI o mettermi d’impegno a fare il giornalista, Roberto mi fece un lungo discorso senza mai tralasciare le difficoltà della professione, le incertezze, facendomi capire che quella del giornalismo poteva essere la mia strada, più che la politica di professione. Scelsi di lasciare gli incarichi di partito e dedicarmi al giornalismo. Fu un percorso difficilissimo, ma anche il suo dentro la RAI, seppure costellato di successi professionali e di carriera, fu altrettanto irto di spine. E spesso le spine gli furono messe dalla sua stessa parte politica di provenienza.
Nonostante la sua conosciuta professionalità, la sua acclarata capacità aziendale, Roberto fu sempre osteggiato non solo da chi rappresentava in azienda i governi di allora (come gli emuli del CAF, acronimo di Craxi-Andreotti-Forlani), ma anche dalle sottili vendette e dalle gelosie meschine di chi, nella sinistra, lo riteneva uno “spirito troppo libero”, un amante del “trasversalismo”, un aziendalista che metteva al primo posto lo sviluppo e l’autonomia della RAI. Fu con alcuni amici e colleghi, ormai scomparsi (come Federico Scianò e Paolo giuntella del TG1), e con altri che per fortuna ancora si trovano impegnati sui fronti caldi della libera informazione, tra coloro che fondarono il Gruppo di Fiesole, il primo movimento trasversale di giornalisti che si riuniva nella scuola quadri della CISL, appunto sulle colline fiesolane. Da quell’esperienza nacque il gruppo di Unità, Autonomia e Solidarietà, che in pochi anni rivoluzionò il modo fare sindacato dentro la FNSI e nell’USIGRAI. Molte idee per cambiare il modo di fare informazione radiotelevisiva trovarono in Fiesole la palestra unica ed avanzata, che in seguito offrì allo stesso Roberto nei “fruttiferi” anni Novanta di proporre un sistema moderno per rifondare la RAI all’epoca dei “professori” e anche dopo la stagione di innovazioni che fu il convegno dell’Ergife a Roma. Ma questa sua idea innovativa di Servizio pubblico autonomo da qualsiasi ingerenza, che riesce a stare sul “mercato”, che si apre alle innovazioni si linguaggio e tecnologiche, che sfida anche le rigide appartenenze di “casacca”, le spartizioni, le nomine decise dai vertici dei partiti e da alcuni salotti lobbistici, questo suo essere “rivoluzionario nelle idee e riformista nei metodi” gli costò caro.
Anziché proporlo e difenderlo per dirigere settori informativi di pregio, da destra a sinistra, Roberto fu osteggiato. E ad ogni nuovo giro di nomine il suo nome veniva sempre “bruciato”, perché “inaffidabile” a destra come a sinistra. Certo la sua bravura e le sue capacità professionali, le sue esperienze dentro la “macchina informativa” della RAI in qualche modo lo fecero sopravvivere alle tante “epurazioni”. Cercarono di emarginarlo inviandolo nel “deserto dei Tartari” dei servizi internazionali della RAI, ma ne uscì con successi editoriali e più impegnato di prima. Lo “gettarono” per un po’ addirittura in un “sottoscala” per poi affidargli un progetto nel quale l’azienda non credeva affatto, quello del canale All Nesw, che lui seppe trasformare il RAI News 24 ore. Negli ultimi anni di direzione al primo canale informativo satellitare (che poi divenne un esempio per altre TV pubbliche, come la Francia e la Spagna), Roberto si prese molte soddisfazioni, facendo “sbarcare” la sua testata per prima sul WEB e sfornando una “cucciolata” di giovani professionisti agguerriti che portarono gloria alla RAI con le loro inchieste scomode. Andato in pensione, Roberto poteva benissimo essere scelto dall’opposizione al regime autocratico berlusconiano, quella che ha ridotto fortemente l’autonomia gestionale, ideativa e produttiva della RAI, a diventare un consigliere di amministrazione di Viale Mazzini. Ma gli “spiriti liberi”, le “anime grandi” non sono gradite ai piccoli uomini grigi della politica.Roberto mi mancherà, anche se resterà il mio “spirito guida” professionalmente parlando. Con lui abbiamo avviato l’avventura fantastica di Articolo 21, insieme a tanti altri amici e colleghi. Di lui mi ricorderò la sua presenza continua, attaccato alla “macchinetta” per curare il suo micidiale tumore, durante i lavori dell’Assemblea di Articolo 21 ad Acquasparta un anno fa. Fu un combattente che, anche con il dolore fisico più terribile, continuò a prendere la parola a illuminare con i suoi discorsi gli scenari politici che stiamo vivendo.
A lui, la RAI dovrebbe dedicare la sua Scuola di giornalismo e avviare una riforma del sistema informativo che faccia tesoro dei suoi insegnamenti, che erano le idee innovative di un uomo libero e di profonda umanità.
Grazie Roberto.
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