Un grande dolore; e insieme la determinazione a continuare, anche per lui
Il dolore. Roberto Morrione ci ha insegnato con la sua attività quotidiana, senza gesti eclatanti, cosa sono la serietà, il rigore professionale, l’autonomia e l’indipendenza, la competenza. Perdere un uomo così, oggi, è un danno incalcolabile per un Paese nel quale vengono continuamente attaccati i valori più importanti, consacrati negli articoli della Costituzione. Rigore, serietà, discrezione, coraggio che egli ha posto anche nella gestione della malattia che lo aveva così duramente colpito e che solo togliendogli la vita è riuscita a fermarlo. Lucido, coerente, fermo, profondo, senza andare mai inutilmente sopra le righe, ha saputo dare un modello comportamentale anche nel convivere con il suo male, aiutato in modo straordinario da una formidabile compagna di vita qual è stata Mara.
La fortissima determinazione è quella che, superato lo sgomento delle ore e dei giorni successivi alla notizia della sua morte, noi tutti di Articolo 21, dell’Usigrai, dell’Fnsi, di tutte le associazioni che si battono per la Pace e i diritti universali dovremo mettere in campo per continuare il lavoro di Roberto costruito con metodo, pazienza, lungimiranza. Una lezione che riguarda la vita, prima ancora dello strumento che l’uomo si è dato per raccontarla: l’informazione. Solo se si è buoni cittadini si può essere buoni giornalisti. Roberto è stato un grande giornalista perché ha saputo guardare il mondo con gli occhi della giustizia, dei diritti, dell’uguaglianza. E lo ha fatto sempre: da capo cronista del Tg1, quando quel giornale era una scuola e un simbolo, a direttore di Rai News 24, di Rai International, di Libera Informazione.
Ha dimostrato che la capacità di guardare, analizzare, raccontare deve per forza venire prima di qualunque militanza. Anche nel sindacato aveva questo rigore, anche nell’elaborazione dei progetti editoriali. Come quello che, redatto nel ’92-’93, riguardava l’informazione regionale e che l’azienda non volle mai neppure discutere, forse perché quel modello informativo avrebbe consentito agli italiani di conoscersi reciprocamente, non con i rigidi filtri centrali che ci mettono sempre e soltanto di fronte ai consueti clichés, come la Sicilia mafiosa, la Calabria ‘ndranghentista, la Sardegna terra di sequestratori. E se quei territori, per qualche buona ragione, si sottraggono allo schema, non esistono.
Passato il terribile dolore, capiremo che potremo adeguatamente onorare la sua memoria non tanto con le parole, quanto con la qualità del lavoro e dell’impegno. Di qua i giornalisti con la schiena diritta, autonomi, indipendenti, non condizionabili dai potenti. Di là quanti scrivono sotto dettatura, a pagamento, servi dei loro padroni. Dannosi per sé e per l’Italia. La rivincita di Roberto ci sarà quando le classificazioni dello stato dell’informazione in Italia ci restituiranno un posto in graduatoria molto più alto di quello che oggi ci umilia.
Trackback dal tuo sito.