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Lotta ai patrimoni delle mafie, tra tecnicismo ed esigenze sociali

Di Aldo Cimmino il . Campania

Contrasto alle ricchezze mafiose. Questo è stato il tema al centro del dibattito che ha visto oggi impegnati magistrati, avvocati e società civile. Nella sede del Circolo Nautico di Posillipo, il convegno organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Napoli, dalla Fondazione Polis e dalle associazioni “Libera”, “Alma Mund” e “Ius et Gestio”, è stata l’occasione per un partecipato confronto sulla questione, da tempo dibattuta, del contrasto ai patrimoni dei clan. Una materia, dunque, che dà filo da torcere, non soltanto agli appartenenti alle associazioni mafiose, i quali, come ha ricordato l’avvocato Cinque, presidente della “Ius et Gestio”, «preferiscono farsi un giorno di galera in più piuttosto che vedersi sottratto anche solo un euro», ma anche agli operatori del diritto che spesso si scontrano con tanti dubbi applicativi, specialmente per quanto concerne la tutela dei diritti dei terzi coinvolti nelle procedure di sequestro e confisca dei beni societari.

«Se è vero, com’è vero – ha sottolineato infatti Enrico Canaria, giudice della sezione fallimentare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – che le misure di prevenzione dal 1982 rappresentano strumenti fondamentali nella lotta al crimine organizzato, si pone poi il problema del rapporto con i diritti dei terzi di buona fede». Osservazioni che sono state accolte anche dalla maggior parte degli avvocati che hanno sottolineato anche un ennesimo profilo problematico. E cioè l’importanza della gestione di una società sotto sequestro rispetto anche ad una ipotesi fallimentare, da parte di un amministratore giudiziario che quindi rappresentando la partecipazione statale andrebbe in deroga alla legalità dello statuto della società. Se dunque dal punto di vista del diritto civile vi è un’alzata di scudi a difesa dei diritti di tutti quei cittadini che pure devono vedersi garantito il loro diritto alla proprietà e alla partecipazione della vita economica d’impresa, dal punto di vista del diritto penale, invece, si auspica un intervento del legislatore che possa mettere ordine nei rapporti tra le misure di prevenzione patrimoniali e quelle misure ablative che pure sono presenti nell’ambito del codice penale e in alcune leggi che successivamente alle stragi di Capaci e Via D’Amelio, furono urgentemente approvate dal legislatore italiano.

La questione è posta molto bene da Raffaele Piccirillo, Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, che con alcuni esempi mette in luce come spesso la confisca che può essere attuata durante il processo penale, spesso risulta essere inadeguata e poco utile allo scopo che, invece, bene riesce a raggiungere una misura di prevenzione patrimoniale prevista dalle leggi antimafia. Poi la nota questione dell’onere probatorio a carico delle parti. Se il nostro sistema giuridico, infatti, prevede che deve essere il pubblico ministero a dimostrare, nell’ambito del processo penale, la colpevolezza dell’imputato, si accusa in generale il procedimento di prevenzione antimafia di capovolgere quest’onere. Ma in realtà, se il tribunale accerta l’esistenza di una sproporzione patrimoniale, tra un bene appartenente al soggetto sottoposto a procedimento e le sue redditività dichiarate e nello stesso tempo, il soggetto sotto procedimento,  non riesce a dimostrare che quel bene ha una provenienza lecita, non sembra che si possa affermare che non sia stato garantito quell’imprescindibile diritto costituzionale che è la difesa.

«Ma la prevenzione patrimoniale è una materia che coinvolge tutti – ha detto il presidente Francesco Menditto, che opera presso la sezione delle Misure di prevenzione del Tribunale di Napoli – perché è la prevenzione stessa che tocca tanti ambiti come quello civile, penale, fallimentare, della gestione amministrativa e specialmente quello dell’antimafia sociale. Non dobbiamo dimenticare – ha ancora sottolineato Menditto – che il nostro lavoro ha una rilevanza sociale per legge, grazie all’impegno che l’associazione Libera profuse, quando nel 1995, raccolse quel milione di firme per far approvare la legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati che oggi è la 109 del 1996». Un importantissimo riferimento che dunque rischiara il fine ultimo della speciale prevenzione antimafia. E cioè quello di restituire ai cittadini quanto indebitamente e, con la violenza, è stato tolto loro.

Menditto non ha potuto fare a meno poi, di richiamare alla mente la storia delle misure di prevenzione. Non bisogna infatti dimenticare che queste sono state la conseguenza di alcuni tributi di sangue che uomini dello stato hanno dovuto pagare per il loro impegno e il loro “avere la schiena dritta”. Le misure di prevenzione sono il risultato dell’omicidio di Pio La Torre e della strage mafiosa di Via Carini, nella quale persero la vita il generale e prefetto di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Al di là dunque di alcuni tecnicismi che spesso il mondo dei civilisti sembra privilegiare è da notare piuttosto che il reale problema non è tanto chi debba gestire, se l’amministratore giudiziario in luogo di quello legale, la società sequestrata o sottoposta a procedimento fallimentare. Quello su cui bisogna soffermarsi è ad esempio il ruolo delle banche troppo spesso compiacenti che concedono mutui a soggetti poco raccomandabili o che gravano i beni confiscati da ipoteche impedendone il riutilizzo sociale.

È sacrosanto il diritto alla proprietà, è legittimo che la società voglia difendere la produzione e gli interessi economici, anche dal punto di vista del mondo del diritto, ma di fronte alla necessità di dare segnali chiari ed univoci di inversione di tendenza rispetto alle realtà mafiose territoriali è necessario fare un passo in avanti. È necessario mettere da parte, per un istante, la logica degli interessi e dei profitti e puntare ad una riforma che preveda vero coordinamento tra i procedimenti penali, civili e concorsuali oltre che un ruolo fondamentale della neonata Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati specialmente nella fase di gestione e destinazione dei beni sottratti ai clan.

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