Gli affari dell’ex onorevole Pino Giammarinaro
L’ombra di un delitto, l’odore dei soldi e degli affari, la politica e la sanità, gli illeciti arricchimenti, i prestanome. C’è tutto questo in una duplice operazione “Salus iniqua” condotta stamane a Trapani dalla Polizia e dalla Guardia di Finanza. Gli agenti hanno sequestrato beni per 35 milioni di euro e notificato sette avvisi di garanzia. Due distinti provvedimenti, il sequestro risultato conseguenza dell’applicazione di una misura di prevenzione, gli avvisi di garanzia esito di una indagine della Procura di Trapani sugli interessi illeciti dentro la sanità trapanese con contestazione di ipotesi di riciclaggio e intestazione fittizia di beni. Comune denominatore un ex deputato regionale, l’on. Pino Giammarinaro, 65 ani, il deus ex machina di molte cose, da ultimo l’elezione a sindaco del suo paese, Salemi, del critico d’arte Vittorio Sgarbi.
Ma nell’indagine c’è anche altro: la storia di un terreno confiscato al narcotrafficante mafioso di Salemi Salvatore Miceli. Confiscato da oltre 10 anni non è stato mai assegnato. Incartamento rimasto fermo al Comune e ancora di più da quando è sindaco Sgarbi. C’era un progetto per assegnarlo a Slow Food e a Libera, ma il sindaco Sgarbi è stato intercettato a parlare con un assessore vicino a Giammarinaro, l’avv. Caterina Bivona, mentre assicurava che Giammarinaro non sarebbe andato deluso, «A don Ciotti quel terreno non verrà mai dato». Poi parlando con Giammarinaro, Sgarbi si faceva dire a chi doveva assegnarlo e Giammarinaro gli indicò l’Aias e il signo Francesco Lo Trovato. Ad oggi comunque l’assegnazione non è andata avanti e il terreno, 70 ettari, resta non produttivo. E il mafioso se la ride.
La nuova borghesia mafiosa
Gli episodi riassunti nel rapporto investigativo firmato dal primo dirigente della Divisione Anticrimine della Questura di Trapani, Giuseppe Linares, portano ad inquadrare l’on. Giammarinaro come chiara espressione di quella “borghesia mafiosa” che ha rivoluzionato i contorni classici della figura del soggetto indiziato di contiguità mutualistica all’associazione mafiosa “cosa nostra”, figura che le più recenti sentenze penali riguardanti le indagini sui mandamenti mafiosi della Provincia di Trapani hanno visto imporsi in un vincolo di strumentale collusione e ciò a prescindere da una qualsivoglia formale adesione alla stessa. Una espressione imprenditoriale ed economica della nuova mafia, con soggetti che diventano mafiosi non tanto attraverso riti e punciute, ma attraverso la gestione di ingenti interessi economici.
I desiderata sono quelli dii “Cosa nostra”, ma rispetto ai decenni passati in un differente livello relazionale che si avvale sempre delle capacità di assoggettamento ed intimidazione offerte dal parallelo aspetto militare del sodalizio mafioso, avendo, però, quale organico disegno criminale la complessiva gestione di interi settori produttivi e l’infiltrazione in ambienti istituzionali. Giammarinaro secondo le indagini avrebbe perseguito una strategia di aggressione e fagocitazione occulta di porzioni del sistema produttivo collegato al sistema sanitario, e, in ultima analisi, di controllo politico ed amministrativo del proprio territorio di influenza.
Il sequestro dei beni
Il provvedimento è stato emesso a seguito di proposta del Questore della Provincia di Trapani, Carmine Esposito, avanzata al presidente del Tribunale di Trapani per l’applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale. Le indagini si sono basate sulle risultanze in parte già acquisite nell’ambito di vari procedimenti penali già pendenti presso la Procura della Repubblica di Palermo, nonché presso la Procura della Repubblica di Trapani. Gli accertamenti patrimoniali sono stati svolti congiuntamente dal Nucleo di PT della Guardia di Finanza e dalla Divisione Anticrimine di Trapani.
Chi è Giuseppe “Pino” Giammarinaro
Uno dei suoi più intimi amici il giornalista Nino Ippolito, portavoce del sindaco Sgarbi, addetto stampa dell’on. Pio Lo Giudice, e in passato anche addetto stampa dell’attuale ministro Saverio Romano quando questi era a capo dell’Udc siciliana, lo chiama “Pino manicomio” non è una offesa ma una simpatica presa in giro, perchè anche il nome di Ippolito risulta citato nelle indagini come uno di quei soggetti che portavano al Comune gli ordini di Giammarinaro. Imprenditore, presidente di Usl, deputato regionale nel 1991, Pino Giammarinaro dovette andare latitante per sfuggire ad un ordine di cattura mentre sedeva a sala d’Erocle, dal processo per mafia fu assolto, ma nel frattempo è finito condannato per peculato e concussione, sorvegliato speciale per 4 anni. Circostanze queste che nel 2001 lo hanno portato a ricandidarsi alla Regione con la lista “cuffariana” del Biancofiore, sfiorando la rielezione.
Nonostante la sorveglianza speciale, venuta a cadere da poco tempo, dopo averla per intero scontata, nello stesso periodo di tempo e fino a tempi recentissimi, Pino Giammarinaro risulta avere arricchito e ampliato il quadro delle conoscenze e dei rapporti, di natura politico-affaristica, dalla sua parte una costante legittimazione del suo operato e un sostegno istituzionale e politico tali da porre poi agevolmente in essere le condotte finalizzate al controllo occulto di attività economiche nel settore della sanità beneficiarie di finanziamenti pubblici regionali, nonché al condizionamento di importanti settori della cosa pubblica e della vita politica della provincia di Trapani. Dalla sua parte imprenditori, medici, operatori sanitari e dirigenti dell’Asl oggi Asp, Giammarinaro sarebbe stato a capo di un comitato di affari per controllare una serie di strutture di assistenza convenzionate con la sanità pubblica, attraverso rpestanome, ci sono poi i capitoli di indagine relativi all’intromissione nella fase decisione circa la nomina di manager e dirigenti di servizi pubblici.
Obiettivo? Ottenere tornaconti elettorali e tornaconti in denaro attraverso rimborsi che venivano elargiti a occhi chiusi di dirigenti della sanità pubblica che si raccordavano dietro le quinte con lo stesso ex parlamentare. Denaro pubblico finito nelle tasche del politico per milioni di euro hanno spiegato gli investigatori. Ma i buoni servizi della sanità gli sono anche serviti per ottenere certificati medici di comodo così da sfuggire alle reti della sorveglianza speciale.
Il delitto Capizzo
L’omicidio si delinea sullo sfondo della gestione di residenze sanitarie e centro di emodialisi tra Mazara e Salemi. Capizzo, infermiere professionale, trovato ucciso l’1 ottobre del 2002, era amministratore unico del “Centro Emodialisi Mazarese”, dove Giammarinaro sarebbe stato socio occulto. Capizzo in passato avrebbe anche “curato” la latitanza del deputato quando era ricercato per mafia, ne custodiva denaro e libretti, raccogliendo denaro per agevolarlo, L’omicidio non ha avuto mai una chiara pista, è rimasto senza colpevoli, ma gli affari sono emersi bene e oltre al Cem riguardano altri centri, Life e Villa Letizia, fittiziamente intestati ad un ex vice sindaco di Castellammare, Francesco Cacciatore, alla moglie di questi Maria Neglia, a Stefano Liuzza, per il centro Salus, Antonino Maniscalco ancora per la Cem, Nicolò Domenico Ardagna che da autista dell’onorevole divenne per suo conto proprietario terriero, Ardagna dipendente della Salus era poi componente del collegio sindacale della cooperativa Villa Letizia. Nei rapporti tra Giammarinaro e Cacciatore, presidente del Cda di Villa Letizia, c’è una intercettazione nella quale si sente parlare della creazione di un fondo in nero per un miliardo di vecchie lire. Nella coop Villa Letizia compaiono anche
i nomi del figlio di Giammarinaro, Francesco, e della segreteria dell’ex politico Mirella Robino.
Giammarinaro e la politica. Le storie del sindaco Sgarbi e del deputato Lo Giudice. I rapporti col ministro Saverio Romano
Alle ultime regionali Giammarinaro sostenne la candidatura dell’on. Giuseppe Lo Giudice ex presidente dell’ordine dei medici di Trapani. Dopo la sua elezione questi si rese conto che sarebbe stato un burattino nelle mani di Giammarinaro. Ma non solo si vide chiedere il pagamento di 200 mila euro da parte dell’on. Giammarinaro per spese elettorali. Quella che sembrava semmai una vera e propria tangente. Sentito dagli investigatori, Lo Giudice ha cominciato a delineare uno spaccato incredibile. E da questo punto in poi l’inchiesta potrebbe avere presto sviluppi ben oltre la Sicilia:
infatti mette in luce i rapporti di Giammarinaro con l’attuale ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano, e con Vittorio Sgarbi, di cui Giammarinaro sarebbe stato stato uno dei principali sponsor per l’elezione a sindaco di Salemi.
Dai suoi vecchi amici di partito Cuffaro e Romano, però, Giammarinaro ha lo stop alla ricandidatura per le regionali del 2008 per via del suo status di ex sorvegliato speciale. Lo racconta il medico Pio Lo Giudice, che viene prescelto per candidarsi al suo posto e che, ammetterà poi, si rese conto di essere diventato un “burattino” nelle sue mani. Agli inquirenti Lo Giudice racconta di aver avuto da Giammarinaro la richiesta di 200 mila euro per le spese da questi sostenute per campagna elettorale. E quando chiese a Romano un rimborso dal partito per le spese elettorali seppe che erano già stati erogati 40.000 euro consegnati a Giammarinaro. «Nell’occasione – ha verbalizzato Lo Giudice – il senatore Romano aveva anche spiegato che la consegna di tale somma di denaro al Giammarinaro non era nota a nessun altro». Agli atti delle indagini c’è anche l’input dato da Giammarinaro, tramite un assessore, al sindaco Sgarbi perché un bene confiscato ad un boss di Salemi e affidato al Comune fosse assegnato ad un’associazione da lui indicata: «In alcune conversazioni intercettate il 16 ottobre 2009, Sgarbi viene informato dall’assessore Caterina Bivona che la Prefettura di Trapani esigeva l’immediata assegnazione (ai sensi dell’allora vigente legge sull’utilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie) di un terreno agricolo confiscato al noto esponente mafioso e narcotrafficante Miceli Salvatore.
Sgarbi chiedeva al suo assessore chi avesse presentato domanda per l’assegnazione di quel terreno. La Bivona informava, quindi, Sgarbi che l’istanza era stata presentata da “Slow Food” e dall’associazione antimafia “Libera”, provocando il disappunto di Sgarbi che manifestava di non aver alcuna intenzione di assegnare il terreno a «quelli di Don Ciotti». Ma le interferenze nella vita politica di Salemi sarebbero state anche altre. Svelate per esempio dal vice sindaco Antonella Favuzza durante un’altra intercettazione, questa è stata sentita dire che il bilancio comunale veniva scritto ed elaborato a casa di Giammarinaro, o ancora c’è l’informativa di un maresciallo dei carabinieri che scoprì una riunione di consiglieri a casa del sindaco Sgarbi quando doveva riunirsi il consiglio comunale per approvare dei debiti fuori bilancio, e da quella riunione serale l’ultimo ad uscire dalla casa di Sgarbi fu proprio l’on. Giammarinaro.
Ci sono poi le intercettazioni che svelano come Giammarinaro portava a Sgarbi, andando a prenderlo in aeroporto, delibere e determine da firmare. Atti questi che fanno parte delle indagini condotte dalla procura antimafia di Palermo dopo una serie di intimidazioni subite dal sindaco Sgarbi. Una inchiesta archiviata, ma il contenuto delle intercettazioni e l’interrogatorio dell’ex assessore al Comune di Salemi, Oliviero Toscani, il famoso fotografo, consegnano agli atti di queste nuove indagini le sistematiche interferenze in stile mafioso fatte da Giammarinaro, incursioni continue in Comune, alle quali l’unico a dire basta fu proprio Toscani: «…un vero e proprio condizionamento mafioso di tutta l’attività amministrativa del Comune di Salemi…».
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