Nobili e borghesi all’ombra delle cosche
Un formidabile documentario firmato dal giornalista Stefano Maria Bianchi (uno della «truppa» di Michele Santoro) ha fotografato, anni fa, la «mafia bianca», ossia gli interessi di Cosa nostra nel filone sanitario siciliano. Fu quel documentario che segnò l’avvio di una stagione di guai giudiziari per l’allora Governatore della Sicilia, Totò Cuffaro. Successivamente nel 2005 la Commissione nazionale antimafia in missione a Trapani si interessò alle ingerenze mafiose nella sanità trapanese. Ma le infiltrazioni dei «mammasantissima» dentro il mondo sanitario non sono di oggi ma di decenni e decenni addietro. II tema è al centro del libro «I medici della camorra» (Castelvecchi) dello psichiatra Corrado De Rosa. Il libro affronta diverse storie. Una di queste riguarda Castelvetrano, la patria dell’«ultimo dei padrini», Matteo Messina Denaro, 49 anni, ricercato dal 1993. Bisogna risalire al 1926 ad un certo dottore Melchiorre Allegra, «punciutu» e primo vero pentito di mafia. La sua affiliazione fu per caso, lavorava al pronto soccorso dell’ospedale belicino e scoprì il nipote di un mafioso, tale Giulio D’Agate, che si era procurato un ascesso al ginocchio per evitare di andare militare. Allegra non lo denunciò e si mise così a disposizione della «famiglia».
Uno dei “favori” maggiormente garantiti dalla mafia a quell’epoca era proprio di evitare il servizio militari ai giovani così da poterli arruolare tra le sue fila come propri “picciotti”. Della serie, “uomini d’onore crescono”. Non è da ora che la mafia va a braccetto con la sanità. Ma da sempre si può dire. Non è da ora che la mafia tenta di essere «sommersa», quel medico, Melchiorre Allegra, come altri, andava bene per «camuffarsi». Certo il rapporto tra mafia e camici bianchi si è evoluto ma è di antica data. Borghesia mafiosa, bianca come il colore degli indumenti indossati dai sanitari. Famoso per essere stato un capo mafia è il medico Michele Navarra di Corleone, oggi si sentono fare i nomi di altri medici, palermitani, ma legati a Matteo Messina Denaro, come Antonino Cinà e Giuseppe Guattadauro. Mafioso e pentito come Melchiorre Allegra è l’alcamese Vincenzo Ferro, figlio di Giuseppe che con la sanità ha avuto un altro genere di legame, riuscì per anni a fingersi pazzo, poi scoperto decise di seguire il figlio nella strada della collaborazione. Altro medico-mafioso ad Alcamo è Ignazio Melodia, altro camice bianco famoso è stato il partannese Vincenzo Pandolfo, seguì il «patriarca» della mafia belicina, don Ciccio Messina Denaro nella latitanza per garantirgli assistenza medica, si consegnò in carcere nel 2006, l’anno scorso, ancora giovane è morto in cella. Insomma la mafia i «colletti bianchi» li ha sempre avuti, e non solo come affiliati ma addirittura tra i propri capi, a Trapani non a caso si parla di «borghesia mafiosa» perchè a comandare non sono stati mai i «viddani» alla corleonese, ma persone istruite, di un certo «lignaggio».
Ma la storia che colpisce è quella di Melchiorre Allegra che nel 1937 dopo essere stato arrestato spiegò esattamente l’organigramma mafioso, uno straordinario verbale che nel 1962 fu pubblicato sul giornale «L’Ora» da Mauro De Mauro, il giornalista poi fatto ammazzare dai corleonesi di Riina. Della mafia trapanese Allegra ne parlò come di una organizzazione dove l’onore aveva un senso «cavalleresco». Nobili e borghesi all’ombra delle cosche. Una situazione che ricalca quella odierna dove a comandare le cosche restano i “borghesi” forti della loro in sospettabilità, quelli che pretendono rispetto e lo ottengono ancora meglio di un vero mafioso, quelli che proteggono la latitanza di Matteo Messina Denaro per intenderci che con la sanità ha anche un altro rapporto: non solo il controllo di certi affari ma si racconta che per muoversi di nascosto e restare latitante spesso usa delle ambulanze che qualcuno ovviamente gli mette a disposizione.
Trackback dal tuo sito.