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Operazione “Meta”, 41 richieste di rinvio a giudizio

Di Gaetano Liardo il . Calabria

Quarantuno richieste di rinvio a giudizio formulate dalla Dda di Reggio Calabria. La Procura dello Stretto si prepara al processo scaturito dall’operazione “Meta”, realizzata nel giugno del 2010 dai carabinieri del Ros. Tra le richieste di rinvio a giudizio, formulate dal pm Giuseppe Lombardo, titolare dell’inchiesta, figurano i principali boss della ‘ndrangheta reggina. Giuseppe De Stefano, Giovanni Tegano, Pasquale, Domenico e Demetrio Condello, Pasquale Libri. Il gotha delle storiche famiglie di mafia di Reggio Calabria.

Le indagini, condotte grazie alla importante collaborazione dei nuovi collaboratori di giustizia, hanno fotografato la geografia criminale della città di Reggio Calabria. Consentendo di confermare l’esistenza di una pax mafiosa in città tra le famiglie di ‘ndrangheta. Il modo migliore per superare le faide intestine che hanno insanguinato il capoluogo dello Stretto tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90. Reggio Calabria, così come è successo in tutta la provincia, si è così dotata di una sorta di “camera di compensazione”, utile per prevenire scontri e contrasti tra le varie cosche. I magistrati della Dna, a questo proposito, scrivono: «E’ risultato infatti che anche nel capoluogo tra le cosche è stato da tempo  raggiunto un accordo per la gestione unitaria degli affari illeciti, e in particolare  delle estorsioni, affidata – fino al momento del suo arresto, 28 dicembre 2008 –  a DE STEFANO Giuseppe
».

Un quadro confermato dalle dichiarazioni che il pentito Roberto Moio, nipote del boss Giovanni Tegano, ha rilasciato al pm Lombardo. «Pm: Tutte le famiglie a Reggio, le famiglie di mafia, no? Sono sullo stesso livello? MR: no.  Pm: No. Quindi ci sono famiglie che hanno un prestigio. MR: Si.  Pm: Quali sono le famiglie di primissima fascia? MR: A Reggio Calabria? Pm: Si. MR: I Tegano, i De Stefano…prima i De Stefano, poi i Tegano».

Nello stesso interrogatorio, rilasciato il 19 ottobre 2010: «Pm: Dopo di loro chi c’è? MR: Parliamo dello stesso piano? Oppure… Pm: Ma certo. La prima fascia diciamo. MR: Libria, Serraino, Tegano, và…Condello. Pm: Questi sono? MR: Si, questi…’sti fasci, tutti…la seconda fascia… Pm: Quindi allo stesso livello ci sono i Libri, i Serraino, i Tegano ed i Condello. Ora queste famiglie, no? Tra di loro, nel 2010, che rapporti hanno? Si parlano, si confrontano? MR: Si. Certo, si, si, si». Un’analisi, questa, che trova conferma anche in altre indagini condotte dalla Dda di Reggio Calabria. Ad iniziare con “Il Crimine”, operazione che ha reso possibile una ricostruzione “diretta” della nuova struttura organizzativa di cui la ‘ndrangheta si è dotata. Una struttura che privilegia il “dialogo” tra le cosche attraverso il tavolo di compensazione de Il Crimine, appunto. I tre mandamenti criminali in cui è divisa la provincia di Reggio Calabria, Jonico, Tirrenico e Città, hanno una struttura di vertice. Tutta la Provincia, inoltre, ha un suo vertice. Una trasformazione radicale della struttura della ‘ndrangheta, ritenuta da sempre parcellizzata nelle singole locali.

Scrivono gli investigatori della Dia: «Una società, seppure onorata, ha bisogno di vertici e gregari». Questo per non correre il rischio di: «Palesare fattori di debolezza in grado di innescare scissioni, faide o isolati atti di disobbedienza». «L’assetto di vertice – scrive la Dia – non è più soltanto riconosciuto dai singoli e riconosciuti capi (…)  l’espressione (…) di un’organizzazione strutturata di tipo mafioso». Una svolta, quindi: «Dettata dalla necessità di avere, come referente unico per le azioni criminali, un organismo decisionale di tipo verticistico, finalizzato a gestire la capillare attività di imposizione del pagamento della tangente agli operatori commerciali ed imprenditori operanti nella città».

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