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Libera e Università di Milano: studiare e allontanarsi dalla retorica

Di Silvia Buzzelli* il . Lombardia

Proseguono gli appuntamenti con i seminari promossi da Libera e dalle sette università di Milano intitolati “Mafie al nord. Per una cultura della legalità”. Il ciclo inaugurato l’11 marzo scorso con l’affollato incontro nell’aula magna della Statale, cui hanno partecipato il Governatore della Banca d’Italia e il presidente di Libera Don Luigi Ciotti, continua in queste settimane con nuovi appuntamenti. Lo scorso 15 aprile è stata la volta dell’Università Bicocca: pubblichiamo a tale riguardo un interessante resoconto dell’iniziativa scritto dalla prof. Silvia Buzzelli. Mercoledì prossimo 4 maggio nuovo appuntamento, invece, all’Università Statale di Milano con il seminario intitolato “Strategie di contrasto e di repressione della criminalità mafiosa”, con la presenza del procuratore Ilda Boccassini. 

Meditare sulla storia giudiziaria, in particolare sugli avvenimenti accaduti negli anni che vanno dal 1992 al 2000; far uso poi di categorie non tradizionali, quindi di schemi fortemente innovativi, per comprendere l’evolversi della criminalità organizzata. Queste, in sintesi, sono le indicazioni emerse nel corso del seminario svoltosi il 15 aprile a Milano-Bicocca, al quale hanno partecipato Maurizio Romanelli (Procura della Repubblica di Milano), Rocco Sciarrone (sociologo dell’Università di Torino), Serena Uccello (giornalista ilSole 24ore) e, in rappresentanza di Libera, Michele Polo (economista dell’Università Bocconi). E’ utile, se non addirittura indispensabile, riflettere sul decennio terribile, caratterizzato – specie nell’estate del ’92 – da episodi gravissimi per modalità esecutive e scelta delle vittime (Falcone, Borsellino, gli uomini delle loro scorte): solo così si chiariscono le dinamiche stragiste poste in essere da Cosa Nostra (che ha sempre mostrato maggior propensione, rispetto all’ ’ndrangheta, per gli omicidi eccellenti).

Una ricostruzione del genere non è una sterile opera fine a se stessa, anzi ha un significato notevole: serve, infatti, per instaurare il collegamento, assolutamente necessario, tra le indagini e i processi portati a termine allora e i risultati investigativi di adesso. I frutti di quella stagione, del lavoro condotto dalla magistratura e dalle forze di polizia, sono stati raccolti ancora negli ultimi mesi, soprattutto in Lombardia. Una regione nella quale le varie associazioni criminali – tutte, nessuna esclusa – sono saldamente radicate: l’affermazione si regge sulla mole enorme di carte processuali che dimostrano l’espansione, meglio la “colonizzazione” di Milano e dintorni, operata dalla ‘ndrangheta, in modo diffuso. La continuità investigativa potrebbe essere interrotta se andassero in porto talune modifiche al sistema penale proposte di recente, con riferimento all’area delle prove: in altre parole, si teme la possibile rivisitazione, in chiave restrittiva, della disciplina delle intercettazioni. Forse è questo il punto che, al momento, inquieta e desta maggior allarme: il diverso atteggiamento manifestato dall’attuale classe politica rispetto alla giustizia penale e alla magistratura che quella giustizia è chiamata ad amministrare. Infine, alle vicende processuali merita d’affiancarsi un’analisi sociologica rigorosa, capace di investire ogni aspetto del fenomeno criminale. Origini, organizzazioni territoriali, aree grigie di un “capitalismo d’avventura”, in grado di saldare economia legale/illegale: tutto va definito, meglio va ridefinito a partire dai concetti essenziali di legalità (al momento assai debole) e di antimafia, espressione questa che non deve separarsi mai dal suo contrario; come dire, bisogna sempre studiare mafia e antimafia insieme, per cogliere il senso profondo dei fatti e dei misfatti italiani. Nel contempo andrebbero accuratamente evitate le metafore a sfondo medico: né cancro, né virus (e nemmeno piovra); le mafie stanno colonizzando l’intero Paese, a tal punto che ne risulta alterata la convivenza democratica nel suo complesso. La magistratura deve fare molto, ma non può fare tutto (ne sono consapevoli, per primi, gli stessi giudici e i pubblici ministeri): ancora una volta, quindi, il compito determinante spetta a ciascuno di noi, ed è un compito quotidiano. Ribadirlo, di tanto in tanto,  non fa male.

*Università di Milano-Bicocca

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