Narcotraffico: un’industria che non conosce crisi
Quando nell’ottobre 2009 la Procura e la Dia torinesi hanno annunciato in conferenza stampa la più importante operazione antiriciclaggio mai realizzata in Piemonte, la notizia non ha ricevuto sui media il risalto che avrebbe meritato. Secondo gli inquirenti diversi lavori delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006, dell’Alta velocità piemontese e del porto di Imperia erano stati realizzati riciclando milioni di euro di proprietà di una potente famiglia di ‘ndrangheta calabrese, ma la notizia passò quasi inosservata. Non una dichiarazione da parte degli amministratori cittadini, di un rappresentante degli industriali o dell’autorità che aveva vigilato sui giochi. Nulla, il silenzio, in attesa del processo. I soldi godono di questa straordinaria facoltà: fanno poco rumore.
Nell’immaginario collettivo il pianeta droga è popolato da panetti, pasticche e polveri colorate, stratagemmi, spedizioni e filiere criminali, ma in realtà il suo protagonista più ingombrante, in termini di volume, non è rappresentato dal narcotico ma dai soldi che se ne ricavano. Fiumi di cartamoneta che come le sostanze necessitano di logistica e che alla fine del ciclo penetrano, come iniezioni di liquidità, le economie di mezzo mondo. Non la semplice conclusione della catena, ma ciò cui tutto il sistema mira, sin dall’inizio. Ciò nonostante, l’attenzione di tutti, politica, investigazioni e media, continua a concentrarsi quasi esclusivamente su sequestri e narcotrafficanti, tralasciando “la pista dei soldi” e il reato di riciclaggio. Sul punto l’Italia poi, che non ha mai approvato una norma contro l’autoriciclaggio – abbandonata nei cassetti delle commissioni parlamentari dal 2009 – si dimostra particolarmente zoppicante. «Un Paese che non affronti un problema fondamentale come quello dell’autoriciclaggio è un Paese che non può pensare di combattere efficacemente il narcotraffico», sostiene Alberto Cisterna, procuratore aggiunto della Procura nazionale antimafia «tanto più se contemporaneamente si approvano invece gli scudi fiscali».
Eppure è lì, nei soldi, nella commutazione tra droga e denaro che sarebbe possibile scovare la pietra filosofale, l’alchimia che rende il narcotraffico l’affare illegale più redditizio al mondo e una delle voci più rilevanti dell’economia globale. Se solo si prendesse in considerazione l’intera filiera, anziché fermarsi sulle soglie dei paradisi fiscali e dei mercati, ne deriverebbe anche una diversa definizione di “Narcostato”. Non più soltanto i Paesi produttori o di transito potrebbero essere etichettati così, ma anche quelli dove si concentra il consumo e dove si riciclano i soldi – Europa e Usa in testa. Sarebbero davvero poche le nazioni a salvarsi e tutte, democrazie occidentali in testa, sarebbero messe di fronte alle loro responsabilità. Perché di fronte ad un’offerta esiste anche una domanda, ma soprattutto esiste la possibilità di fare montagne di soldi.
Perciò cocaina ed eroina, protagoniste del mercato della droga, continuano ad essere enormi fiumi carsici che raggiungono e inondano ancora oggi i quattro angoli del pianeta. Secondo le prudenziali stime dell’Unodc, nel 2008, sarebbero state prodotte 865 tonnellate di cocaina e 657 tonnellate di eroina. La vendita al dettaglio di cocaina sarebbe stata pari allo 0,15% del Pil mondiale, un valore superiore al prodotto interno lordo di 123 sui 184 paesi analizzati dalla Banca mondiale, l’equivalente di circa 100 miliardi di dollari. Mentre, sempre nel 2008, il mercato degli oppiacei avrebbe generato un fatturato annuo di 65 miliardi di dollari, di cui circa 55 miliardi solo per l’eroina. Inoltre sarebbero stati tra i 15 e i 19 milioni i consumatori di cocaina, tra i 13 e i 22 milioni quelli di oppiacei.
Lo stesso rapporto dell’Unodc (World drug report, 2010), pur segnalando una recente riduzione della produzione di cocaina e eroina, ha comunque sottolineato che non sono calati né l’offerta né il consumo di tali sostanze che, nel caso della cocaina, è invece aumentato del 14% tra il 1990 e il 2008, con un andamento sostanzialmente stabile negli ultimi anni.
Più che le stime ufficiali, su cui numerosi dubbi sono peraltro stati sollevati da ricercatori e istituti indipendenti che attribuiscono ben più ampie dimensioni al fenomeno (non ultima l’associazione Libera con uno studio di Sandro Donati), sono però soprattutto gli scenari geopolitici e criminali a restituire la fotografia del narcotraffico in tutta la sua drammatica ampiezza. Nel mondo vi sono interi paesi o regioni strangolate dalle “narcocrazie”: guardiamo al Messico, con i suoi più di 110 milioni di abitanti, dove dal 2006 sono stati registrati 34 mila omicidi, 15.273 vittime solo nell’ultimo anno, un morto ogni 34 minuti. Dove si stima che almeno 500 mila persone siano legate in qualche modo al narcotraffico e tra queste circa trentamila minori. Tutto per il potere, quello dei narcos messicani, che nasce dagli enormi profitti ricavati dal transito della cocaina: dal Messico passerebbe l’80% di tutta la produzione sudamericana.
Le vie del narcotraffico intrecciano piccole e grandi guerre che si mescolano alle sue strutture finanziarie, i suoi apparati organizzativi e i suoi profitti. Gli esempi della destabilizzazione che esso produce potrebbero essere numerosissimi, sarebbe sufficiente seguire le rotte dalle regioni della produzione a quelle del consumo. Dall’America latina agli Stati Uniti, attraverso l’Africa fino all’Europa, oppure dall’Afghanistan per l’Asia centrale, la Turchia, i Balcani, fino alla Russia e, di nuovo, all’Europa. I Paesi sono “drogati” dal passaggio dello stupefacente lungo l’intera filiera. Ovunque operino i signori del narcotraffico si concretizza una minaccia alla politica, all’economia, alla sicurezza, alla società, in una parola alla salute complessiva della regione. Accade a “monte” ma anche a “valle” delle filiere, dallo sfruttamento dei contadini a quello dei consumatori e dei mercati. Il traffico internazionale di stupefacenti ha imparato a terzializzare le proprie necessità. Si avvale di qualsiasi organizzazione criminale in grado di garantire l’efficienza necessaria a trasporti sicuri e ciò rende ancora più mobili, dinamiche e transnazionali le dimensioni del fenomeno. Ci troviamo di fronte a un business che ha fatto della flessibilità la sua arma vincente e che riesce a sfruttare a proprio vantaggio lo scacchiere dei commerci internazionali, infiltrandone le spedizioni e selezionando i varchi e le dogane più favorevoli.
In questo scenario il nostro paese non costituisce affatto un’eccezione. Sia perché le mafie, e soprattutto alcune famiglie di ‘ndrangheta, figurano tra le organizzazioni di narcotraffico più potenti al mondo, sia perché montagne di soldi sporchi vengono ripuliti nei settori più redditizi dell’economia legale, dal sud al nord del paese (il settore delle costruzioni figura tra quelli che presenta le condizioni più favorevoli). È anche e soprattutto grazie a questa voce di bilancio che l’“industria mafiosa” riesce in Italia a impiegare, secondo dati della Direzione investigativa antimafia, quasi il 10% della popolazione attiva nelle nostre principali regioni meridionali e produrre un fatturato corrispondente al 5-7% del Pil nazionale. Mafie e gruppi criminali, italiani e stranieri, si accordano al solo scopo di proteggere la loro “gallina dalle uova d’oro”.
Anche in casa nostra il narcotraffico è un’industria in crescita e in espansione, soprattutto verso nord. Secondo i dati più aggiornati della Direzione centrale per i servizi antidroga del ministero dell’Interno nel 2010 è ulteriormente cresciuto il numero delle persone denunciate per reati connessi alla droga (+7,12% rispetto al 2009, +32,00% dal 2003). In particolare, sono aumentate del 32,90% le persone denunciate per «associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope
». E su questo si registra un cambiamento interessante: mentre il 54,15% (su 4.068 unità) è stato denunciato nel Sud d’Italia, con un incremento del 14,38% rispetto ai dodici mesi precedenti, la media nazionale è salita del 32,90%. Ciò significa che le consorterie criminali organizzate si sono ulteriormente espanse verso il nord Italia.
In Lombardia, ad esempio, con 565 persone denunciate per associazione dedita al narcotraffico, si è registrato un aumento dell’80,51%. Stessa situazione notata dall’Agenzia italiana delle Dogane dai cui dati, riferiti al 2010, sembra emergere il trasferimento al nord del Paese del domicilio fiscale delle società di copertura per il trasporto di droga. «I dati possono indicare sia la disponibilità delle aziende coinvolte sia la capacità delle organizzazioni criminali di penetrarle – spiegano all’Agenzia delle dogane –. Resta il fatto che le cosche calabresi sembrano aver dirottato la loro sfera di influenza territoriale lontano da Gioia Tauro, considerato fino ad oggi il buco nero del mondo».
Di narcotraffico, dipendenze e consumi si parlerà oggi e domani a Torino, nel corso della due giorni organizzata dal Gruppo Abele a 35 anni dall’approvazione della prima legge sulle droghe e la tossicodipendenza, la 685 del 1975
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