Interrogarsi oggi su tutte le dipendenze
Sono passati 35 anni. Quel giorno, il 28 giugno 1975, in una tenda in piazza Solferino, a Torino, partiva un’iniziativa che ha rappresentato per tante persone un’occasione di speranza e di riscatto. Era in vigore allora una legge sulla droga che portava al carcere o al manicomio. Erano gli anni in cui l’eroina cominciava a diffondersi nelle città, stroncando molte vite, soprattutto giovani. Il Gruppo Abele già da tempo se ne occupava. Nel 1973 avevamo aperto il «Molo 53» in via Verdi, primo spazio in Italia aperto giorno e notte e gestito insieme ad alcuni generosi medici e farmacisti, contrari a una legge che prevedeva, tra l’altro, la denuncia delle persone tossicodipendenti.
La tenda di piazza Solferino nasceva sul solco di quell’impegno e dal bisogno di scuotere le coscienze. Furono oltre 200 persone a digiunare nei primi giorni, sette di loro continuarono ad oltranza. Vennero distribuiti materiali, apprestati cartelli con denunce documentate, organizzati momenti di approfondimento. Arrivarono messaggi di sostegno da tutta Italia, molti giornali ne parlarono, la visita del cardinale Michele Pellegrino e il suo telegramma al presidente della Repubblica Leone scossero l’opinione pubblica, sollecitarono le istituzioni e il mondo della politica. Una delegazione del Gruppo partecipò a una serie d’incontri ai ministeri degli Interni, della Sanità, della Giustizia. E sei mesi dopo, il 22 dicembre del 1975, venne approvata la legge 685, la prima a considerare il consumatore di droga una persona da aiutare e non un delinquente da incarcerare e a istituire una rete di servizi.
35 anni dopo, i prossimi 28 e 29 aprile, il Gruppo Abele organizza un incontro su droga, dipendenze e consumi. Non per ricordare o celebrare quella lotta: non è nel nostro stile. Ma per riflettere, per guardare avanti, per mettere a fuoco le contraddizioni irrisolte. Una “due giorni” per studiare e costruire strumenti più adeguati a raggiungere altri volti e storie, bisogni che si esprimono con linguaggi spesso tutti da decifrare. In quella prossimità alle persone a cui, nei nostri limiti, abbiamo sempre cercato di restare fedeli.
Lo faremo con vecchi e nuovi amici, italiani e stranieri, e con un approccio che vuol essere, come sempre, trasversale. Conciliando pubblico e privato, dimensione educativa, terapeutica e scientifica, scenari nazionali e internazionali, attenzione sulle politiche penali e sulle dinamiche mafiose del narcotraffico, riflessione sulla prevenzione e sugli strumenti della comunicazione di massa.
E cercando di allargare il campo ai nuovi aspetti delle dipendenze. Alla diffusione della cocaina, delle droghe “da prestazione” e al ritorno silenzioso dell’eroina – silenzio su cui grava anche un peccato d’informazione – si affiancano oggi infatti forme di dipendenza più sottili ma non meno dannose. Sono le dipendenze di chi non riesce a trovare un senso alla propria vita, di chi si sente isolato, fragile nel rapporto con se stesso e con gli altri, e cerca di sfuggire come può al proprio malessere.
Ecco allora il triplicarsi in questi ultimi anni dell’uso degli psicofarmaci e degli antidepressivi, l’approccio sempre più precoce all’alcol come veicolo di stordimento, il diffondersi dell’anoressia e della bulimia, disturbi alimentari che nascondono disturbi di relazione col proprio corpo e con un’immagine di sé che i modelli consumistici vorrebbero ingabbiare in un’esteriorità superficiale e anonima. Ecco il sempre maggior ricorso ai giochi d’azzardo, alle scommesse, alle lotterie. Una sorta di “tassa sulla povertà”, visto che a giocare sono soprattutto persone di basso reddito, con un’ampiezza d’offerta tale – nei bar, nelle tabaccherie, su internet – da favorire gli abusi, la perdita del controllo, le forme di dipendenza.
Ecco perché la riflessione, a 35 anni da quella legge sulla droga, non può fare a meno di toccare molteplici e cruciali aspetti della vita sociale. Parlare di dipendenze oggi significa infatti parlare della solitudine e della fragilità di tante persone, della debolezza dei legami sociali e del contatto umano – che la crescita del mondo “virtuale” non può sostituire – di un individualismo sempre più intrecciato all’insofferenza per le regole della democrazia, vera minaccia alle basi sociali ed etiche della nostra convivenza. Significa porre l’attenzione sul deficit educativo e culturale, perché dietro le dipendenze c’è spesso un vuoto di relazione, di riferimenti, di conoscenza.
Ma significa anche denunciare la riduzione e in certi casi l’azzeramento delle politiche sociali, e la ricaduta sulle persone in difficoltà come su chi opera nei servizi. Così come, di pari passo, la conversione del “sociale” nel “penale”. Quella lotta per la dignità delle persone tossicodipendenti, 35 anni fa, cui seguirono altre grandi svolte come quella frutto delle intuizioni di Franco Basaglia, con l’apertura dei manicomi e il riconoscimento della dignità di chi vi era rinchiuso, hanno visto negli ultimi anni grandi arretramenti dal punto di vista politico, legislativo e culturale. E a fronte delle attuali disuguaglianze sociali ed economiche, quell’idea di società inclusiva, capace di riconoscere a tutti il diritto di avere un nome, di essere persone indipendenti e responsabili, appare più che mai bisognosa di essere sostenuta da un impegno collettivo.
Che sia questo impegno la base della democrazia lo dice del resto la nostra Costituzione. Una carta che oggi troppi vorrebbero cambiare per palesi interessi di parte, e che resta invece il testo più prezioso per condurci a una società più libera dalle ingiustizie, dall’illegalità, e dalle tante forme di emarginazione e dipendenza che ne possono derivare.
*tratto da gruppoabele.org
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