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Rosarno: duro colpo contro il clan Pesce

Di Gaetano Liardo il . Calabria

Durissimo colpo ai Pesce di Rosarno. Stamani gli uomini dei comandi provinciali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Reggio Calabria hanno sequestrato un fetta importante del patrimonio della cosca. Beni per il valore di 190 milioni di euro tra Calabria, Lombardia, Campania e a Roma. Tra questi 40 imprese, 44 abitazioni, 4 ville, 12 autorimesse, 60 terreni, 56 autoveicoli, 108 autocarri e 2 squadre di calcio. Le imprese coinvolte operano nel settore dei trasporti, in quello del commercio e in quello agricolo. Il sequestro è stato disposto dal Tribunale di Reggio Calabria su richiesta del Procuratore Giuseppe Pignatone e del sostituto Ceretti. Un colpo durissimo, che colpisce al cuore la ricchezza di una delle cosche più potenti della fascia tirrenica della Calabria.

I Pesce, infatti, controllano il territorio di Rosarno insieme ai Bellocco, ma vantano anche importanti ramificazioni in altre regioni italiane. Ad iniziare dalla Lombardia. «L’importante cartello dei Pesce-Bellocco – scrive la Dia nella relazione del primo semestre 2010 – gestisce le attività illecite nel comprensorio di Rosarno-San Ferdinando, attraverso il controllo e lo sfruttamento delle attività portuali, l’infiltrazione dell’economia legale, proponendosi con significative proiezioni nel traffico di stupefacenti e armi, nonché nelle estorsioni e nell’usura». In Calabria, quindi, ma non solo. Significativa è la presenza dei Pesce in Lombardia, specialmente a Milano dove hanno vissuto la moglie e la figlia del boss Salvatore Pesce. Nell’ultimo anno, tuttavia, la potenza della cosca si è incrinata. Le forze dell’ordine hanno colpito duramente già nell’aprile del 2010.

Nel corso dell’operazione “All inside” della Procura di Reggio Calabria, sono finite in carcere 40 persone. Tra queste Angela Ferraro, 48 anni, moglie del boss Salvatore Pesce, Marina Pesce, 29 anni, e Giuseppina Pesce, 30 anni, figlie del boss. Il Gip di Milano, città dove vivevano Angela Ferraro e Marina Pesce, tuttavia, ha disposto l’annullamento del fermo nei confronti delle due donne perchè non sussistevano le esigenze cautelari. Diversa, invece, è stata la sorte di Giuseppina Pesce. Un paio di giorni dopo l’arresto, infatti, la figlia del boss ha deciso di collaborare con la giustizia, fornendo elementi importantissimi agli inquirenti. La Pesce ha fornito ai magistrati reggini l’organigramma della cosca e la rete di affari e traffici che gestiva sia in Calabria che in Lombardia. Grazie alla collaborazione di Giuseppina Pesce sono stati sferrati colpi durissimi contro la cosca di Rosarno.

Lo scorso 16 aprile sono finite nuovamente in manette la madre e la sorella della collaboratrice. Le due donne sono state accusate di estorsione, intestazione fittizia di beni e di aver fatto da tramite tra i boss in carcere e il resto dell’organizzazione. Nell’ordinanza di arresto il Gip ha definito il contributo di Giuseppina Pesce: «Granitico riscontro e naturale completamento del compendio investigativo già raccolto». Tuttavia, lo stesso pomeriggio, la giovane Pesce ha deciso di fare marcia indietro. Il difensore della collaboratrice, Giuseppe Madia, ha dichiarato che Giuseppina Pesce: «Dopo due mesi di collaborazione ha chiamato il pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria informandolo di essere intenzionata a non proseguire la collaborazione con la giustizia, sostenendo inoltre – ha aggiunto l’avvocato Madia – di aver detto cose non vere perchè assolutamente non a conoscenza degli episodi di cui si parlava».

Un brutto contraccolpo che solleva molti interrogativi. Anche perchè il contributo di Giuseppina Pesce è stato particolarmente importante per gli inquirenti, avendo fornito elementi utili su di una realtà particolarmente chiusa e impermeabile come quella dei Pesce.

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