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Operazione “All Clean”, scacco al clan Pesce di Rosarno

Di Gaetano Liardo il . Calabria

Scacco matto. In un solo colpo la potente cosca Pesce di Rosarno vede tramontare l’impero economico costruito negli anni. 190 milioni di euro il valore dei beni sequestrati dagli uomini del Comando provinciale della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Reggio Calabria. Decine di imprese, ditte e anche due squadre di calcio gestite dai prestanome dei boss. Un duro colpo ai mamma-santissima di Rosarno, frutto delle indagini patrimoniali che hanno fatto seguito all’operazione “All Inside” della Dda di Reggio Calabria dell’aprile 2010. Ma anche, sottolineano gli inquirenti, frutto della preziosa collaborazione di Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore, che sabato scorso ha deciso di interrompere la collaborazione con la giustizia.

«Oggi Rosarno è libera – ha commentato il comandante provinciale della Guardia di Finanza Alberto Reda – ora aspettiamo che i cittadini onesti e le imprese sane si riapproprino degli spazi che abbiamo restituito al libero mercato». Con l’operazione di oggi, si legge in una nota delle Fiamme gialle, è stata «completamente annientata la potenza economica della pericolosa consorteria ‘ndranghetistica dei Pesce di Rosarno». Un chiaro segnale al boss latitante Francesco Pesce, 31 anni, detto “Cicciu Testuni”. Figlio del boss Antonino “Testuni”, il rampollo della cosca Pesce è considerato il reggente del clan. Con i sequestri di oggi gli inquirenti sono convinti che il boss latitante sarà costretto a fare dei passi falsi per reperire fondi e riorganizzare le attività economiche della cosca.

Tuttavia, appare chiaro un altro segnale, più inquietante. L’enorme disponibilità economica della ‘ndrangheta e la facilità con cui le cosche calabresi monopolizzano interi settori dell’economia del nostro Paese. In Calabria, certo, ma anche nelle regioni del centro e del nord. Angela Napoli, componente della Commissione antimafia, segnala il problema in una nota: «L’allarme sulla potenzialità economica della ‘ndrangheta, che emerge dalle numerose inchieste della Dda di Reggio Calabria, dalle varie relazioni della Dna, dalla Dia e dalle Commissioni Parlamentari Antimafia non può più essere sottaciuto». «Oltre all’importante attività di prevenzione operata dalla magistratura e dalle forze dell’ordine – sottolinea – occorre vigilanza assoluta da parte dei mondi imprenditoriale e politico, in modo che non venga consentito alcun ingresso, al di là delle ormai inutili certificazioni antimafia, agli uomini delle cosche mafiose».

Con “All inside”, l’operazione che nell’aprile del 2010 portò in carcere oltre 40 affiliati della cosca compresa Giuseppina Pesce, questo meccanismo è stato ben analizzato. Scrive la Direzione investigativa antimafia nella relazione del primo semestre del 2010 che: «Le indagini hanno palesato le speciali capacità pervasive del sodalizio, in grado di interferire (…) sia nelle principali e più remunerative attività economiche sviluppatesi nel rosarnese, che nell’ambito di qualificati contesti relazionali attraverso la paziente tessitura di un reticolo di rapporti, costituenti il “capitale imprenditoriale e sociale della cosca». Un potere ampiamente sfruttato anche al di fuori di Rosarno. Come a Milano, città dove sabato scorse sono state arrestate la moglie e la figlia del boss Salvatore Pesce, già fermate, e poi scarcerate dal Gip, nel corso di “All inside”.

A Milano la cosca: «E’ in grado di esprimere, secondo modalità di sopraffazione ed intimidazione tipicamente mafiose, il controllo di alcune attività criminose, tra cui il traffico di stupefacenti in ampie zone della città». Contemporaneamente all’operazione “All clean”, si è celebrata presso il Tribunale di Reggio Calabria l’udienza preliminare del processo “All inside”, che vede la presenza di più di ottanta imputati. Un segnale importante è arrivato dal Ministero dell’Interno che si è costituito parte civile nella persona del Commissario straordinario antiracket e antiusura Giancarlo Trevisone.

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