Gela, operazione “Casa nostra”
L’arresto dell’imprenditore gelese Francesco Muncivì, effettuato dalla squadra mobile della polizia di stato di Caltanissetta insieme agli agenti del commissariato di Gela, potrebbe svelare ulteriori particolari sui legami tra mafia, imprenditoria e politica locale. Questo emerge dalle dichiarazioni rilasciate dal dirigente della mobile nissena Giovanni Giudice. «La nostra attività d’indagine – commenta – ha avuto inizio dopo aver sentito alcuni importanti imprenditori di Gela impegnati nella costruzione di un grande complesso abitativo nell’area Catania – Casciana, in parte di proprietà di Francesco Muncivì, che hanno ammesso di aver subito pressioni da parte dell’arrestato».
Stando all’accusa, infatti, Muncivì avrebbe imposto il pagamento di un importo pari almeno al due percento dell’intero appalto a tutte le imprese impegnate nei cantieri di quell’area. In un caso, secondo le indicazioni rese dagli investigatori, Francesco Muncivì avrebbe punito un imprenditore gelese, colpevole di essersi rifiutato di eseguire, gratuitamente, lavori all’interno dell’abitazione di campagna della famiglia del boss Daniele Emmanuello, richiedendogli il versamento di somme pari al cinque percento su un appalto superiore a quattro milioni di euro. «Francesco Muncivì – ammette Giovanni Giudice – è, secondo la nostre indagini, uomo organico alla cosca degli Emmanuello, sempre pronto a fare gli interessi dell’intero gruppo». Terreni, per un valore complessivo di diciotto milioni di euro, gestiti dalla “Fiass s.r.l.”, società del gruppo Muncivì retta dalla figlia dell’imprenditore fermato Maddalena Valentina, sono stati sequestrati dagli investigatori insieme ad un immobile costruito a Gela.
«I nostri riscontri – continua il dottor Giudice – non si legano solo alle dichiarazioni rese da diversi imprenditori o alle intercettazioni da noi effettuate; anche altre indagini, come quella Scorpione, ci hanno dato la conferma del ruolo svolto da Muncivì». L’operazione “Scorpione”, infatti, consentì di smascherare il sistema delle guardianie, notturne e diurne, imposto da soggetti vicini a cosa nostra e stidda proprio all’interno dei cantieri dell’area Catania – Casciana. «Ci risulta – dice il dirigente della polizia di stato – che proprio Francesco Muncivì spingesse per ottenere posti di lavoro in favore di operai vicini alle cosche, meccanismo esteso anche all’attività di guardiania. Chiunque non avesse accolto l’invito, rischiava gravi danneggiamenti ai cantieri avviati».
La famiglia di Francesco Muncivì, a quanto trapela dall’indagine “Casa Nostra”, avrebbe sempre mantenuto stretti legami con la politica e, contemporaneamente, con il gruppo di cosa nostra degli Emmanuello. Lo stesso fermato rivestì, fino al 2007, la carica di consigliere comunale tra i ranghi della locale Forza Italia: stessa strada seguita dal giovane figlio Paolo, eletto nelle liste del Movimento per le Autonomie e rimasto tra i banchi del civico consesso gelese fino allo scorso anno. Intorno alla figura di Paolo Muncivì, alcune polemiche esplosero durante le fasi di formazione degli organi interni al Partito Democratico della provincia di Caltanissetta. Muncivì, abbandonato l’Mpa, ha scelto di aderire al Pd, divenendone componente dell’assemblea provinciale. E’ stato eletto nelle quote previste per il Primo Circolo di Gela, scatenando un duro contrasto tra il deputato europeo Rosario Crocetta, che puntò il dito su candidature dubbie, e quello regionale Miguel Donegani, responsabile del circolo, contrario a qualsiasi forma di ingerenza nei meccanismi del partito.
Sia Francesco Muncivì che il figlio Paolo, secondo gli inquirenti, sarebbero stati tra gli ospiti della cerimonia religiosa svoltasi in occasione della cresima della figlia del boss Daniele Emmanuelo. L’arrestato, ancora, avrebbe consentito all’altro figlio del latitante, deceduto nel 2007, di trovare casa a Roma, città nella quale il giovane frequenta l’università Luiss. «Al momento – precisa il dirigente della mobile Giovanni Giudice – Paolo Muncivì non risulta tra gli indagati, la nostra operazione ha avuto quale obiettivo principale il padre Francesco, ma sviluppi non sono da escludere». Un’indagine, dunque, che potrebbe produrre ulteriori novità negli scenari imprenditoriali e politici di Gela.
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