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Continuano a chiamarli clandestini

Di Laura Galesi il . Interviste e persone

Esiste un lavoro sporco, materiale, antico che non vediamo e che rappresenta la base produttiva dell’agroalimentare  e che sfrutta i lavoratori in condizioni para-schiavistiche. I migranti impiegati in nero nelle campagne del Sud sono più del 50 per cento. A denunciarlo è la Cgil che specifica: «Circa 400 mila vivono in condizioni di sfruttamento sotto il caporale, mentre circa 60 mila vivono in condizioni di assoluto degrado, in alloggi di fortuna e sprovvisti dei minimi requisiti di vivibilità ed agibilità». A questo dato si aggiunge quello dell’incidenza del lavoro nero che tocca punte elevatissime: 90 per cento nelle regioni del Mezzogiorno, 50 in quelle del Centro e 30 per cento in quelle del Nord.

L’anno delle raccolte inizia idealmente con il passaggio  dall’autunno all’inverno. E’ il periodo degli agrumi di Rosarno. L’arrivo della primavera coincide col trasferimento in Sicilia. Alcuni lavorano nelle serre della fascia trasformata, da Licata a Pachino, dal nisseno a Vittoria. Altri raccolgono le patate a Cassibile. La stagione estiva è quella della raccolta del pomodoro. Si spingono fino in Salento per le angurie e poi ritornano a Palazzo San Gervasio, in Basilicata, per il pomodoro tardivo. Finita l’estate è il tempo della vendemmia. In Sicilia, ad Alcamo. Molti infine risalgono verso la Campania, per esempio a San Nicola Varco per gli ortaggi. Ma un anno è già trascorso, sarà ancora Rosarno. «Non possiamo dare di più». I produttori rosarnesi  spiegano che la paga per i raccoglitori stranieri è di 20-25 euro al giorno e che non può aumentare. I loro colleghi pugliesi, campani e siciliani dicono più o meno la stessa cosa.

«Prendo tre euro a cassone, un cassone sono tre quintali e mezzo. Il padrone pagava dodici euro a cassone, ma il resto lo sottraeva il caporale». Karim è  nato a Sfax sulla costa tunisina, ma da sette anni vive a Palazzo San Gervasio. Ancora non ha il permesso di soggiorno. Precisa che è disposto a fare qualsiasi lavoro, ma non vuole più sentire parlare di pomodoro. Per il governo italiano è un clandestino. «L’introduzione del reato di clandestinità – spiegano i sindacati – rende assai improbabile che uno straniero clandestino denunci la propria condizione di lavoratore in nero». A conferma di ciò è la sentenza del 18.02.2008 del tribunale di Como che ha stabilito: «Il contratto di lavoro stipulato dal cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno deve ritenersi contrario all’ordine pubblico e quindi nullo».

Insomma, se oggi un lavoratore stranieri irregolare denuncia  la propria condizione di sfruttamento non ha diritto a rivendicare nulla. L’agricoltura è in una situazione di crisi e degrado. I produttori non riescono a tirare avanti. Un chilo di pomodorino viene venduto alla grande distribuzione per 25 centesimi ma viene rivenduto da  Coop o Esselunga in media da 5 a 7 euro al chilo. Chi ci guadagna? Il consumatore e il bracciante sono gli ultimi anelli, quelli su cui scaricare le storture del sistema. Per esempio i passaggi inefficienti o estorsivi della filiera lunga: dal trasporto egemonizzato dal gommato dei “casalesi” fino ai mercati generali di Milano e Fondi, infiltrati da camorra e ‘ndrangheta. In certi casi anche elementi da feudalesimo come le guardianie sui terreni o il caporalato.

Basterebbe eliminare solo una di queste distorsioni per pagare un salario dignitoso, evitare che i lavoratori africani dormano nei casolari diroccati oppure nelle ex fabbriche con il tetto in amianto. Per tanti anni, come a Rosarno, prima di un giorno di lotta.

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