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Trapani: l’erede del boss finisce in cella

Di Rino Giacalone il . Sicilia

L’«erede» del capo mafia di Trapani torna in cella. Franco Virga, 40 anni, figlio di Vincenzo, boss del mandamento di Trapani, che riuscì a restare latitante per 7 anni, adesso in carcere a Parma dopo essere stato arrestato nel 2001, a scontare ergastoli, imputato nel processo per il delitto Rostagno. Vincenzo Virga è un “mammasantissima” della mafia trapanese che ha vissuto circondato da rispetto e benevolenza in una città dove non pochi sapevano della sua caratura, ma ci sono voluti decenni perchè per la prima volta fosse raggiunto da un ordine di cattura, rispetto a quando la cupola provinciale lo mise a capo del mandamento trapanese. Faceva il capo mafia e intascava la pensione. Quando gli fecero la cernita dei beni gli trovarono a disposizione un portafoglio da 7 miliardi di vecchie lire. Nel frattempo mentre lui era latitante venivano arrestati i suoi figli, Franco prima, e Pietro dopo, quest’ultimo a breve dovrebbe uscire dal carcere, Franco invece c’è appena ritornato. È stato arrestato dagli agenti della Squadra Mobile, diretta dal vice questore Giovanni Leuci, per scontare una condanna definitiva a 3 anni e 6 mesi.

Dal carcere era uscito da qualche anno, dopo avere scontato 9 anni per associazione mafiosa e in cella c’è tornato per una estorsione che era rimasta non del tutto scoperta, se non completamente dopo le confessioni dell’imprenditore Nino Birrittella, quello che ha alzato il coperchio di una pentola piena di commistioni tra la mafia, l’impresa e la politica. E non solo. L’estorsione per la quale è stato condannato Virga jr fu quella subita da una impresa, Micone, che negli anni ’80 si occupava della costruzione del depuratore di Trapani, l’ordine del giovane Virga fu quello che se l’impresa non pagava, i lavori del depuratore dovevano fermarsi, nessuna impresa vi avrebbe potuto partecipare. Erano gli anni della cosiddetta «mafia del coccodrillo», così erano detti i Virga, con loro le estorsioni alle imprese erano la regola, oppure la condizione era quella che a lavorare dovevano essere le imprese da loro segnalate, quasi sempre si trattava delle loro stesse imprese. Una di queste negli anni’80 si occupava pure di smaltire i rifiuti speciali ospedalieri, che sembra non finissero nei centri di smaltimento autorizzati, ma «spediti»per essere fatti sparire per sempre in Umbria.

I Virga nella richiesta del «pizzo» alle imprese non guardavano in faccia nessuno. Marcatamente segnata dall’arroganza mafiosa la vicenda dell’estorsione all’impresa Micone: fu dapprima raccontata a metà degli anni ’90 dal pentito di Paceco Francesco Milazzo, poi nuovi particolari sono stati aggiunti da Birrittella che con la sua impresa al depuratore eseguiva lavori in subappalto, ma quando Franco Virga contestò che quell’impresa, la Micone, «non si era messa a posto», – l’imprenditore disse agli emissari di Virga che aveva “pagato” le “famiglie” palermitane per quei lavori – Birrittella ha raccontato di avere dovuto interrompere le forniture. Richiesta di «pizzo» avanzata con tanto di «autorità», Franco Virga, mentre il padre era latitante faceva da «reggente» della cosca di Trapani, era lui che «dava gli ordini». L’odierna condanna a 3 anni gli è stata inflitta dai giudici (la Cassazione l’ha resa definitiva) in continuazione con la precedente di 9 anni, già scontata.

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