Livatino: l’indipendenza del giudice
Si è
bene detto che il giudice, oltre che essere
deve anche apparire indipendente, per significare che accanto
ad un problema di sostanza, certo preminente, ve n’è un altro, ineliminabile,
di forma. L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria
coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi,
nella sua capacità di sacrifizio, nella sua conoscenza tecnica, nella
sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma
anche nella sua moralità, nella trasparenza della stia condotta anche
fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni
e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue
amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché
consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi
e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni
che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il
pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella
sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni
ed in ogni momento della sua attività. Inevitabilmente, pertanto, è
da rigettare l’affermazione secondo la quale, una volta adempiuti con
coscienza e scrupolo i propri doveri professionali, il giudice non ha
altri obblighi da rispettare nei confronti della società e dello Stato
e secondo la quale, quindi, il giudice della propria vita privata possa
fare, al pari di ogni altro cittadino, quello che vuole.
Rosario Livatino,
magistrato ucciso dalla mafia
Canicattì
1952/Agrigento 1990
* “Il
ruolo del giudice nella società che cambia”
Conferenza
tenuta al Rotary Club Canicattì (AG), 7 aprile 1984
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