Calamandrei: giustizia è comprensione
Sotto il ponte
della giustizia passano tutti i dolori, tutte le miserie, tutte le aberrazioni,
tutte le opinioni politiche, tutti gli interessi sociali. E si vorrebbe
che il giudice fosse in grado di rivivere in sè, per comprenderli,
ciascuno di questi sentimenti: aver provato lo sfinimento di chi ruba
per sfamarsi, o il tormento di chi uccide per gelosia; essere a volta
a volta ( e talvolta nello stesso tempo), inquilino e locatore, mezzadro
e proprietario di terre, operario scioperante e padrone d’industria.
Giustizia è comprensione: cioè prendere insieme, e contemperarli,
gli opposti interessi: la società di oggi e le speranze del domani;
le ragioni di chi la difende, e quelle di chi la accusa. Ma se il giudice
comprendesse tutto, forse non potrebbe più giudicare: tout comprendere,
c’est tuot pardonner. Forse, affinché la giustizia possa raggiungere
i limitati scopi che la nostra società le assegna, essa ha bisogno,
per funzionare, di orizzonti non troppo vasti e di un certo spirito
conservatore che può parere gretteria. Gli orizzonti del giudice son
segnati dalle leggi: se il giudice comprendesse quel che c’è al di
là, forse non potrebbe più applicarle con tranquillità di coscienza.
E’ bene che non si accorga che la funzione della giustizia è spesso
quella di conservare le ingiustizie consacrate nei codici. […] Verrebbe
voglia di dire che per un magistrato mantenere la sua indipendenza sia
più facile in tempi di libertà che in tempi di tirannia. In regime
tirannico il giudice, se è disposto a piegarsi, non può piegarsi che
in una direzione: la scelta è semplice, tra il servilismo e la coscienza.
Ma in tempi di libertà, quando le correnti politiche soffiano in contrasto
da tutti i lati, il giudice si trova esposto come l’albero sulla cima
del monte: se non ha il fusto ben solido, per ogni vento che tira rischia
di curvarsi da quella parte.
Piero Calamandrei,
giurista e politico
Firenze, 1889/1956
Tratto da “Elogio
dei giudici scritto da un avvocato”, 1935
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