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Come Cosa nostra “protegge” il killer di Mauro Rostagno

Di Rino Giacalone il . Sicilia

È uno dei soggetti usciti presto dal 41 bis, proprio dopo che i mafiosi «liberi», intercettati a parlare, si preoccupavano che quella situazione poteva portarlo a pentirsi. Si auguravano che questa situazione per lui potesse cambiare e se non cambiava pensavano a farlo fuggire dal carcere. Il soggetto di tutto questo non è uno qualsiasi, si tratta di Vito Mazzara, valdericino, campione di tiro a volo una volta, in questa maniera giustificava se lo fermavano in qualche controllo delle forze dell’ordine, l’eventuale presenza con se nell’auto di un fucile. Non sparava a bersagli immobili e inanimati, le sue migliori imprese le fece contro personaggi mobili, vivi. Ergastolano per una serie di delitti, come quello dell’agente di custodia Giuseppe Montalto, ordinati dalla cupola di Cosa nostra, è oggi sotto processo per l’omicidio del sociologo e giornalista Mauro Rostagno. 

Di lui, dopo il suo arresto e la condanna definitiva per il delitto Montalto, parla in modo preoccupato Franco Virga (imparentato con il boss Vincenzo. Franco è titolare della macelleria che ha rilasciato quello scontrino trovato il 28 settembre del 1988 nella cava dove fu bruciata l’auto dei killer di Mauro Rostagno, ma secondo i carabinieri quello scontrino riguardava tre operai che col delitto non c’entravano e che per caso erano andati in quel luogo ad arrostire della salsiccia comprata presso la macelleria di Crocci del Virga, raccontarono di una scampagnata fatta quel giorno invece di andare a lavoro). Franco Virga discutendo con altro accolito della cosca, Giuseppe Maltese, ricordava che non poteva essere allentata in alcun modo «l’opera di mantenimento e di assistenza» di Mazzara e dei suoi familiari. E questo, dicono, per evitare un eventuale pentimento. Ma le intenzioni dei due (intercettati nell’ambito di una indagine antimafia prima dell’inchiesta sul caso Rostagno) andavano anche oltre: se intenzione dello Stato era quella di «far morire» “u zu Vito”, sarebbero dovute scattare delle «rappresaglie». «Se fanno morire a Vito deve succedere una guerra!».

Tanto che i due addirittura pensano di organizzare un piano per farlo fuggire dal carcere, prelevandolo dall’alto di un elicottero durante l’ora d’aria all’aperto.  Di Vito Mazzara i due dicono: «È un pezzo di storia …se lui parte di cervello… è cuoio per tutte cose…»  «Vero è – dice Franco Virga – Vito è un “pezzo di storia”». «Certo che è «un pezzo di storia ribadisce Maltese». Nel senso che le sue conoscenze su Cosa nostra trapanese sono così vaste e ampie che un eventuale pentimento metterebbe a rischio l’integrità dell’organizzazione. Poco tempo dopo questa discussione il problema però sembra essersi risolto: nonostante le condanne e lo spessore criminale, Vito Mazzara fa parte di quei detenuti condannati per mafia «usciti» dal 41 bis, il regime del carcere duro.  L’accusa più «pesante» che lo riguarda è il delitto dell’agente di custodia Giuseppe Montalto, in questo caso la condanna è definitiva: non esitò a ucciderlo in presenza della moglie e della figlia, era l’antivigilia di Natale del 1995. Ora è sotto processo sospettato di essere il killer di Rostagno,

Non si è perso una udienza stando in una delle celle dell’aula bunker (l’altro imputato Virga segue il processo in video conferenza perché al 41 bis), Vito Mazzara ha scelto la cella più vicina al banco dove siedono le parti civili, a pochi metri da dove segue il processo Maddalena, la figlia di Mauro.

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