Operazione “Ferrari come back”
Come entrare in un supermarket e mettere nel carrello della spesa ville, lussuosi appartamenti, aziende agricole, capannoni industriali e tantissimi conti correnti bancari. Questa, sembra essere, negli ultimi mesi l’attività preminente del Centro Operativo della Direzione investigativa antimafia di Napoli. Questa volta gli investigatori napoletani in collaborazione con quelli del Centro Dia di Padova, hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo di beni emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di Cipriano Chianese, 57enne di Parete (Ce), notissimo avvocato e altrettanto famoso imprenditore operante nel settore dello smaltimento dei rifiuti, già raggiunto nel marzo 1993 e nel 2007 da ordinanze di custodia cautelare per vicende connesse al traffico di rifiuti, attualmente a giudizio con l’accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico per la sua appartenenza al clan dei “Casalesi”. Ma a dimostrazione che la camorra Spa non si limita ad infettare il solo Sud del Belpaese, la magistratura campana, sempre nel corso di questa operazione, ha disposto il sequestro dei beni nei confronti di Franco Caccaro, 49enne di Campo San Martino (Pd), già conosciuto dalle forze di polizia per essere rimasto coinvolto in vicende riconducibili a reati finanziari, individuato dalle indagini svolte dal centro Dia partenopeo come intestatario di beni e società di fatto riconducibili all’avvocato Chianese.
Nel recente passato la Dia ed il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere si erano già occupati di Chianese, nella sua qualità di titolare della Resit, società che gestiva discariche nel territorio campano. Da quanto si apprende negli ambienti investigativi, nel 2008 era già stato assoggettato alla sorveglianza della P.S. ed era stata disposta la confisca di una parte del suo ingente patrimonio atteso, secondo le accuse, il consolidato rapporto tra Chianese e soggetti di accertata appartenenza al sodalizio camorristico dei casalesi. Attualmente l’avvocato Chianese è agli arresti domiciliari perché colpito dalla ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Napoli il 30.12.2009 per aver attuato truffe in danno del Commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania attraverso plurime minacce realizzate da persone aderenti al clan dei Casalesi tra il 2002 ed il 2003, al punto di essere definito nella misura cautelare quale «Protagonista indiscusso tanto delle azioni truffaldine quanto di quelle estorsive contestate». Viene, inoltre, indicato come «Senza dubbio un imprenditore mafioso dall’anno 1988 all’anno 1996», rimarcando la sua sostanziale intraneità associativa con il ruolo di organizzatore e dirigente nel settore imprenditoriale dell’attività criminale.
Diversi collaboratori di giustizia, in modo univoco, hanno delineato la figura del Chianese quale imprenditore che asserviva le proprie discariche al programma criminoso, consentendo la concreta e positiva realizzazione di ingenti benefici di ordine economico. In altri termini, risulta dimostrata una cointeressenza del proposto e del clan dei casalesi nell’attività di gestione dei rifiuti nel senso proprio del termine di partecipazione e suddivisione degli utili. Le indagini hanno permesso, secondo i responsabili della Dia campana, di delineare un allarmante profilo personale del quale protagonista assoluto della penetrazione camorristica nel settore dei rifiuti, di un vero e proprio “inventore” del sistema delle ecomafie nella sua declinazione campana.
La sequela di comportamenti criminosi ricostruita documenta come l’avvocato Chianese «Abbia saputo adattarsi al mutamento determinato dall’instaurazione della gestione commissariale dei rifiuti allacciando con il subcommisssario ai rifiuti FACCHI un rapporto ora collusivo ora intimidatorio dal quale ha tratto rilevantissimi profitti illeciti». Al punto che, secondo le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, il Chianese dal traffico dei rifiuti avrebbe percepito negli anni ’90 fino a 700 milioni di lire al mese. Oggetto del sequestro sono beni mobili ed immobili siti tra il basso Lazio, il casertano e la provincia di Padova. Questo a dimostrazione della pervasività della camorra a nord del fiume Garigliano, confine solo geografico e non per le mafie tra Sud e Centro-nord d’Italia. Tra questi, situata nel basso Lazio, a Sperloga, è stata individuata una faraonica villa di 21 stanze con annessa piscina per la quale era stata avanzata una falsa richiesta di condono edilizio cercando di farla passare per una costruzione ante 1980, quindi sanabile. Dichiarazione smentita dalle indagini della Dia che hanno dimostrato con rilievi aerofotogrammetrici e testimonianze di chi ha effettuato i lavori di ristrutturazione ed ampliamento, che le modifiche alla piccola villa originaria sono avvenuti dopo il 1990, e che hanno portato il valore della villa a circa 4 milioni di Euro dai 160.000 originari.
Altro immobile sequestrato a Parete, abitazione della figlia del Chianese, era dotato di ogni comfort tra cui bagno turco, sauna e complesso aeroterapico. In particolare le indagini avrebbero consentito di evidenziare il ruolo di prestanome di Franco Caccaro, imprenditore del padovano attivo nel settore delle macchine per triturazione dei rifiuti con la sua società, T.P.A. tecnologia per l’ambiente Srl, che, improvvisamente e senza alcuna ragione economica, ha sviluppato intorno al 2005/2006 la sua attività con l’ingresso di ingenti capitali tra cui 3 milioni di euro provenienti da due assegni della Resit di Chianese che il Caccaro ha giustificato con crediti personali che vantava nei confronti dell’imprenditore di Parete. Senza, però, poter giustificare date e provvista del presunto prestito. Tali apporti avevano consentito alla predetta società di divenire leader nel settore delle macchine per la triturazione dei rifiuti con oltre 200 dipendenti e sedi operative a New York, vicino a Wall Street, in Turchia, Australia, Francia e Brasile.
Inoltre, le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia già evidenziavano come fosse noto che il
Chianese stesse tentando di creare società operanti nel settore dei rifiuti nel nord Italia ed il Caccaro non sia riuscito a giustificare la provvista che gli ha consentito alcuni ingenti aumenti di capitale delle sue società e l’estromissione dei vecchi soci proprio per importi equivalenti a quelli forniti con gli assegni del Chianese. Ancora, sempre secondo quanto ricostruito dalla Dia campana,fu proprio il Caccaro, tramite le sue società, a fare un’offerta all’amministratore giudiziario dei beni dell’avvocato Chianese, posti sotto sequestro e poi confiscati, per l’acquisto di due autovetture Ferrari, una 360 Spider ed una Enzo Ferrari, per circa un milione di euro, evidentemente allo scopo di farne rientrare in possesso fraudolentemente lo stesso Chianese, da qui il nome dell’operazione odierna.
L’imprenditore padovano era già conosciuto dagli organi di Polizia per i suoi precedenti quale amministratore della T.P.A. che aveva fatto ricorso a fatture per operazioni fittizie ed inesistenti, finanziando, secondo l’accusa, il Chianese con cospicue somme di danaro, fatte apparire come aspetto finanziario di normali relazioni commerciali, ma che in realtà avrebbero apportato ingentissime iniezioni di denaro da reinvestire nell’operoso nordest d’Italia. Si è calcolato che il volume di affari tra la Resit di Chianese e la TPA di Caccaro sia ammontato ad oltre 10 milioni di euro nel corso di pochi anni. Al Cacc
aro è stato sequestrato un grande capannone industriale nel padovano per un importo di oltre 2 milioni di euro.
Il valore complessivo dei beni in sequestro è, secondo stime prudenziali, di oltre 13 milioni di euro. Ma che c’entra un imprenditore padovano con gli affari di un avvocato casertano accusato in processi per mafia? La risposta è probabilmente da ricercare nella nuova trasformazione genetica delle mafie: da fenomeno criminale regionale a nazionale e transnazionale. Scusate ma insistiamo a chiamarla Quinta mafia.
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