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Mineo,“Residence degli aranci”, tra bambini e migranti in fuga

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Il “Residence degli Aranci” di Mineo, nel corso di queste ultime settimane, si è trasformato da esclusivo e separato scenario di un’America da esportazione, quella introiettata dai militari statunitensi e dalle loro famiglie, ad essenziale asse di un complesso sistema di politiche migratorie: a dire la verità, ben poco chiaro e ben poco pianificato. Percorrere la strada statale che da Gela conduce verso Catania è già sufficiente per accorgersi che l’emergenza migranti altro non è che un’enorme falla nel sistema della burocrazia nazionale. Decine di giovani, quotidianamente, si muovono a piedi sui bordi di una via di percorrenza assai frequentata da automobili ed autoarticolati: sono tunisini, egiziani, afghani e fuggono dal residence con l’intento di non ritornarvi più.

«Normalmente – spiega l’afghano Nazim – è possibile uscire dal centro in cui ci hanno condotto utilizzando un tesserino di riconoscimento, dobbiamo, però, ritornare entro le otto di sera». Attorno alla struttura, solo vasti appezzamenti agricoli e strade: il centro di Mineo, infatti, dista oltre dieci chilometri, tra ripide salite ed ampi tornanti. I migranti, ad ogni ora del giorno, cercano di raggiungere la cittadina del calatino; alcuni, addirittura, riescono ad ottenere passaggi in macchina dai residenti di Mineo, altri, la maggioranza, si avventurano in lunghi percorsi a piedi.

«E’ la prima volta che cerco di andare ad acquistare qualcosa a Mineo – dice il giovane pachistano Bassan – vado per prendere cibo necessario alla colazione, siamo talmente tanti nel campo che spesso non si riesce a mangiare e le file sono molto lunghe». Intanto, altri ospiti, muniti di tesserino, ne approfittano per allontanarsi: alcuni, in direzione Catania, altri, in quella che conduce a Caltagirone.

«Io sono a Mineo – si confida Nazim – da più di due settimane, prima mi trovavo a Crotone dove mi stavano aiutando per ottenere il passaporto valido per la zona Schengen; adesso, non so proprio come fare e non so perché mi trovo qui, senza informazioni e senza nessuno che mi possa spiegare quale fine farà la pratica del mio passaporto». Nazim è arrivato in Italia nel 2008, dopo aver lasciato il martoriato Afghanistan e all’indomani di un lungo percorso che dall’Iran lo ha condotto sulle coste italiane.

«All’interno di questo campo non si vive per nulla bene – ammette il tunisino Raduan – siamo in troppi, spesso ci sono scontri tra le varie etnie, purtroppo ci sono anche bambini molto piccoli, al massimo tre anni, sono etiopi ed eritrei, insieme alle loro madri». La presenza di almeno una ventina di bambini all’interno del “Residence degli Aranci” viene confermata anche da altri ospiti incontrati tra le strade che costeggiano il complesso recintato. Le storie raccolte sembrano avere caratteristiche comuni. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di giovani e giovanissimi giunti dall’area del Maghreb, costretti a versare oltre mille euro per il viaggio verso l’Italia.

«Purtroppo – ragiona Raduan – in Tunisia stiamo attraversando un periodo disastroso, a causa delle rivolte il settore turistico si è bloccato, i proprietari degli alberghi piangono, gli stranieri non arrivano anche per il timore di conseguenze legate al conflitto in Libia e a me che lavoravo all’interno di un villaggio vacanza non è rimasto che partire». Afghani e pachistani, invece, giungono in Italia dopo aver versato ingenti somme, si parla di diecimila euro, allo scopo di lasciarsi alle spalle geografie di guerra ed abbracciare un nuovo paese, solo di passaggio oppure con la volontà di restarci. Attraversano l’Iran, la Turchia e la Grecia. «Il problema nel vostro paese è il lavoro – ammette Nazim –  nessuno ti regolarizza e, di conseguenza, sei costretto a rinunciare ai documenti con il rischio di essere fermato e trasportato in luoghi come Mineo».

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