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Un impegno continuo

Di don Luigi Ciotti il . L'analisi

La vera forza delle mafie sta fuori dalle mafie. C’è, nel nostro paese, un’illegalità diffusa che non va confusa con le mafie, ma delle mafie rappresenta spesso la premessa. Per questo Libera ha raccolto più di 1 milione di  firme contro la corruzione. È inaccettabile che sia stato firmato ma non ancora ratificato, reso operativo, il trattato europeo di Strasburgo del 1999. Corruzione significa 60 miliardi di euro sottratti ogni anno ai servizi sociali, alla scuola, al lavoro, alla sanità, cioè alle basi stesse della democrazia.

Parlare solo di mafie allora davvero non basta più. Scrivo queste parole dalla Puglia, terra di Renata Fonte e di Francesco Morcone, vittime di mafia. La loro memoria vive nella speranza di verità dei famigliari, nel loro e nel nostro impegno per la giustizia. Ma non può essere giustizia quella “sequestrata” dagli interessi di pochi, alla ricerca non della verità ma di stratagemmi per soffocarla. Non è giustizia quella nascosta dietro riforme che hanno il chiaro obbiettivo di sottomettere la magistratura al potere politico, di annullare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Non è giustizia quella incapace di tutelare l’ambiente, nostro primo patrimonio comune, e ancora non prevede i reati ambientali nel codice penale. Fa il gioco delle mafie ogni legge o comportamento che mette l’interesse privato davanti al bene pubblico, così come le favorisce la debolezza della politica. Sono un segno di speranza anche per noi quei popoli che oggi cercano di rialzare la testa, di riscattarsi da decenni di oppressione, diseguaglianze e bugie. Eppure in Italia e in Europa c’è chi – dopo aver taciuto e fatto affari con le dittature a cui oggi si oppone – si preoccupa soprattutto di presidiare le frontiere agitando lo spettro di “invasioni barbariche”.

I migranti non possono diventare il capro espiatorio delle nostre ingiustizie e disuguaglianze. Il nostro Paese è, in Europa, quello che negli ultimi anni, ha visto la maggiore divaricazione fra povertà e ricchezza, salari e profitti. Invece di invertire la rotta, lasciamo che siano i più deboli a farne le spese. Dal 2008 c’è stato un taglio ai fondi per le politiche sociali di oltre 2 miliardi di euro. Alla lotta alla povertà si è preferita la meno onerosa – e più redditizia sul piano del consenso – lotta ai poveri. Il “sociale” continua così a diminuire a favore del penale. A farne le spese sono anche le nuove generazioni. Non penso solo al problema del lavoro – un giovane su tre, in Italia, non lo trova – ma anche e soprattutto ai tagli all’istruzione. Il grado di consapevolezza e “coscienza critica” dei cittadini è il primo indicatore di democrazia. E questa consapevolezza la si costruisce attraverso l’educazione, gli strumenti culturali, un’informazione che risponde all’etica e non ai potenti di turno.

Il cambiamento non ha bisogno solo di leggi, di scelte politiche, ma comincia da comportamenti più attenti e responsabili da parte di ognuno. La democrazia è incompatibile con la pigrizia, l’adesione formale, il disinteresse o l’indifferenza. La democrazia ci chiede ogni giorno di costruire la storia del nostro paese e della nostra comunità.  Anche il contrasto al crimine organizzato comincia da qui. Da un impegno collettivo e concreto per l’uguaglianza, i diritti, il lavoro, la cultura, l’informazione libera, la politica come servizio al bene comune. In una società capace di questo, la corruzione e le mafie non avrebbero più spazio.

La nostra bussola, in questo percorso, resta la memoria di chi ha messo la sua vita e le sue speranze al servizio del bene di tutti. Quelle delle vittime delle mafie sono memorie scomode, che ci sollecitano ogni giorno dell’anno. Persone come Renata Fonte e Francesco Morcone – lo abbiamo sottolineato lo scorso 19 marzo a Potenza e poi il 21 in tante piazza d’Italia  nella sedicesima «Giornata della memoria e dell’impegno» – non sono morte per essere ricordate, ma perché credevano in un ideale di giustizia che sta a noi raccogliere e vivere fino in fondo.

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