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Reggio Calabria: chiesta la sospesione dell’appalto a due imprenditori lombardi

Di Gianluca Ursini il . Calabria

Il pubblico ministero Giuseppe Lombardo è il protagonista della settimana nel capoluogo dello Stretto e in procura Distrettuale Antimafia. Minacciato, ottiene per la prima volta nell’ordinamento italiano la sospensiva di due imprenditori lombardi per aver pagato il pizzo e non aver denunciato. E ottiene la conferma in appello della sentenza contro “u Supremu” il super boss Condello, uno secondo solo ai Tegano e ai De Stefano, a Reggio sullo Stretto.
 
Un bel segnale, nella Calabria che si sveglia purtroppo, nel 2011, con un primo cittadino che ancora arriva a dichiarare alla stampa: «Qua a Meliccucà, la mafia non esiste». A parlare era stato l’ex socialista Emanuele Oliveri, a seguito di una denuncia del sindacato Cgil: «Non si allarghi la discarica di contrada Zingara nel comune della Piana, su quel sito si estende la longa manus della famiglia Alvaro». I potentissimi “carni ‘i cani”, famiglia egemone di una fetta del “Mandamento Tirrenico”. Ma questa, è tutt’altra storia,,,
 
Le intimidazioni
 
Atto primo, il 2 marzo scorso, Giuseppe Lombardo, l’uomo dietro le catture del “Supremo” Pasquale Condello e di Peppe De Stefano, il rampollo discotecaro e sciupafemmine-della-Reggio-bene del casato mafioso–massone, ha subito la terza intimidazione nel giro di pochi mesi. Al centro smistamento postale di Lamezia Terme, una busta per lui con l’indirizzo della Procura e dentro un proiettile di ak47 Kalashnikov; immediata preoccupazione del Procuratore generale (l’organizzatore degli uffici giudiziari reggini) Salvatore Di Landro, che si chiede se non sia il caso di “intensificare’’ la protezione già attivata nei confronti del pm-coraggio. Timori subito confermati in commissione parlamentare Antimafia dalla Democrat Laura Garavini, che ha presentato interpellanza a Montecitorio sui rischi che corre l’unico giudice in Italia che sia mai riuscito a sottrarre due minori alla tutela di un padre mafioso.

Proprio quel Peppe De Stefano sciupa-femmine finito in manette nel dicembre 2008 dopo 6 anni di latitanza, sul collo una sentenza a 18 anni per narcotraffico. I suoi due figli erano nati col papà latitante e il pm Lombardo istruì il procedimento per sottrarre gli infanti a “un sicuro futuro mafioso”, come argomentò il giudice nella sua richiesta. Provvedimento eseguito, il boss perse la custodia parentale dei suoi due figli, ai quali non potrà più inculcare insegnamenti mafiosi.
 
Prima esclusione richiesta in Italia per gli imprenditori omertosi
 
E detto-fatto, Lombardo lunedì è stato anche il primo in Italia a depositare un provvedimento che ci si augura possa fare scuola: la inibitoria per un periodo determinato, a partecipare a bandi pubblici di appalti, per le aziende che subiscono il pizzo e non denunciano; è l’applicazione di un regolamento inserito dall’allora governo Prodi nel “provvedimento sicurezza 2009”, e prevede la possibilità di sospendere i due imprenditori coinvolti nella inchiesta ‘Agathos’ sulle infiltrazioni del clan Tegano nelle pulizie dei vagoni di TrenItalia, che avevano subito il pizzo e non avevano denunciato. La apposita “Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori” presso il ministero degli Interni, potrà ora sospendere da ogni bando pubblico, fino a un massimo di tre anni,  i due titolari (lombardi, caro ex ministro alla Giustizia Roberto Castelli) Antonio e Gianfranco Dimo, residenza milanese, fondatori della cooperativa “New Labour”, del consorzio “Kalòs”, che si era aggiudicata la pulizia delle carrozze alla stazione reggina.

La “New Labour” degli imprenditori omertosi aveva importanti commesse con le ex FF.SS. anche in Abruzzo, Puglia, Lazio e Umbria. Per non avere noie nell’appalto in Calabria, si erano piegati alle minacce di un sindacalista al soldo del clan di Gianni Tegano (l’”uomo di pace” arrestato lo scorso marzo tra gli applausi dei parenti, ndr), per assumere lavoratori a progetto indicati dalla ‘Ndrangheta, e oltre a questa sottomissione, versavano nelle casse del clan 20mila euro al mese “per lavorare in pace”. Hanno subito e non hanno denunziato, come il procuratore capo reggino Pignatone va chiedendo da quando è arrivato sullo Stretto, da Palermo, città dove l’AntiPizzo ha tutt’altro passo rispetto alla impaurita Calabria.
 
Anche se nel processo “Agathos” (che inizia proprio oggi in primo grado presso l’aula bunker della Fenice dello Stretto) i due fratelli Dimo sono parte lesa, è inevitabile che per loro ora scatti una inibitoria amministrativa, dopo che Giuseppe Lombardo ha depositato agli atti lunedì 28 marzo la richiesta di sospensiva per la loro ditta da ogni appalto pubblico in Italia.
 
Condanna confermata in appello per il superkiller Condello
 
E nello stesso giorno in cui questo provvedimento forse taciterà le polemiche innescate dal governatore lombardo Formigoni e dall’ex guardasigilli leghista e lecchese Roberto Castelli, su “imprenditori calabresi in odore di ‘Ndrangheta” che dovrebbero esser esclusi dagli appalti per l’Expo Milano 2015, il pm Lombardo ha incassato un altro grande colpo: condanna confermata in appello per l’ex “Supremu”, il boss Pasquale Condello. Un tempo il killer più fidato dei De Stefano, era arrivato a fondare la seconda cosca più potente del capoluogo e si era ‘’dato latitante’’ per un decennio, fino al suo arresto a Pellaro, periferia costiera jonica, febbraio 2009, anche per le indagini condotte da Lombardo, che in primo grado al processo “Vertice” aveva ottenuto 9 anni di carcere in regime di 41bis per il feroce ‘ndranghetista. Ieri alla corte d’Appello reggina la presidente Lilia Gaeta ha confermato i nove anni di condanna al carcere duro (per il quale il legale del boss  Francesco Calabrese aveva richiesto la revoca, lamentando che il killer subiva in cella a Parma “esposizione ad onde elettromagnetiche”) richiesti dal sostituto procuratore Franco Mollace, ma rigettando la richiesta di ulteriori 5 anni per “trasferimento fraudolento di valori” durante la latitanza.

A rovinare la latitanza del superboss erano state le dichiarazioni rese in parte allo stesso Mollace (all’epoca Pm) e poi a Giuseppe Lombardo dal super pentito Paolo Iannò, ex killer e capo locale nel quartiere di Gallico, e negli ultimi mesi accusatore numero uno di tanti big della politica calabrese, per collusioni con le ‘ndrine del capoluogo, in primis gli onnipresenti De Stefano, «quelli ai quali è concesso di valicare il limite tra mafia politica e massoneria, come a nessun’altra famiglia di Mafia è possibile», nelle parole, sempre, del Pm Giuseppe Lombardo da Monasterace. Figlio dell’ex procuratore capo di Locri; tutta una vita sotto scorta, dalla nascita fino a questi giorni. C’è da sperare che l’attenzione rimanga alta sulla sua figura istituzionale.

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